11 giugno 2006

Dizionario schmittiano - Lettera P

vers. 1.1/8.12.16
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Analitico -

Premio Nobel 1932
Progresso. -  Al riguardo, sul progresso e infiniti dibattiti sul tema, così si esprime Schmitt: «L’idea di progresso, ad esempio, cioè l’idea di un miglioramento e di un perfezionamento, ovvero, detto in termini moderni, l'idea di una razionalizzazione, divenne dominante nel XVIII secolo, e precisamente in un’epoca di fede morale umanitaria. Progresso significava quindi soprattutto progresso nell’illuminismo, progresso nella formazione, nell'autocontrollo e nell'educazione, nel perfezionamento morale. In un’epoca di pensiero economico o tecnico il progresso viene pensato tacitamente e ovviamente come progresso economico e tecnico, mentre il progresso morale-umanitario appare, per quel che ancora può interessare, come un prodotto secondario del progresso economico», brano citato in Imperium, pag. 58, nt 11, che riprende la mia traduzione di Posizioni e concetti, p. 205. In Imperium, ossia l’Intervista concessa a Klaus Figge e Dieter groh nel 1971, così prosegue Schmitt: «Non m’è possibile farmi neanche minimamente impressionare da cose come lo sbarco sulla luna e simili. Ne prendo atto e cerco d’immaginarmi di che si tratta. Però quest’idea americana - questa idea di progresso! Sono stato tuttavia il primo (di questo sì che posso vantarmi) ad osservare che il concetto di progresso ha un’infinita varietà di significati diversi, giacché il suo significato cambia a seconda che lo s’intenda riferito all’ambito morale, tecnologico, culturale ecc. “Progresso” non è affatto un concetto univoco. Che vuol mai dire “progresso”? Orbene, per me non è mai esistito un concetto universale di “progresso”. Capire questo non m’è costata molta fatica, ma non perché provassi avversione nei confronti di materie tecniche, scienze tecnologiche o scienze della natura. Trovavo tutto questo molto interessante, ma che cosa avesse a che fare col progresso, ancora oggi non lo capisco. Forse ciò si spiega col fatto che in ambito tecnologico siamo ancora dei bambini. Forse ad alcune delle nuove generazioni di giovani tutto questo non fa neanche più impressione; un premio Nobel non è per loro un uomo di tipo superiore, una nuova razza che dovrebbe essere adesso prodotta artificialmente, se mai arrivassimo così avanti. Come detto, questa zelante compagnia di premi Nobel non mi ha mai impressionato - malgrado tutta la simpatia che personalmente posso anche provare per questi uomini. Una volta ho avuto una bella conversazione con Heinsenberg [nell’illustrazione] sulla questione dello spazio vuoto, cioè su che cosa esso sia propriamente. È una persona estremamente colta. A quanto ne so, è un premio Nobel, no? E quando poi sono venuto a sentire che si trattava di un premio Nobel, mica mi sono inventato di provare qualche reazione, neanche polemiche. Nient’affatto. Mi piacerebbe sapere da donde tragga origine questa mia singolare - e forse per niente lodevole - immunità all’idea di progresso. Non è mica un atteggiamento reazionario! Non lo ritengo neanche un regresso o qualcosa di diabolico. Mi sorprendo solo che per esempio certi uomini possano credere di essere più sviluppati dei cinesi perché hanno inventato la polvere da sparo a fini bellici, e non, come gli antichi cinesi, per allegri fuochi d’artificio. Io non credo all’intelligenza tecnica. Sarà una mia defi ... una mia mancanza, se volete, lo confesso. lo uso il progresso tecnologico nella misura in cui è buono, non sono pazzo. Ma non mi lascio impressionare al punto di considerarlo, per così dire, come la base o il presupposto o il motore per uno sviluppo verso qualcosa di superiore» (ivi, p. 52-53).

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