31 marzo 2008

Leggendo Raphael Gross, con prefazione di Charles Zarka e tradotto in francese. La recezione francese di Carl Schmitt.

Versione 1.2

Sommario: 1. Premessa- – 2.Le tesi di Zarka

1. Premessa. – Sono ormai più di due anni che partecipo di una follia collettiva associata al fenomeno dei blogs. Mentre provo una forte riluttanza a consegnare i miei pensieri alla fissità della stampa cartacea non ho invece nessuna remora verso quella specie di scrittura sull’acqua che è l’editoria digitale su Internet. Si può correggere e la propria forma di scrittura ed i propri concetti in ogni momento. Se si immagina il processo della conoscenza come un lento e faticoso progredire verso la verità, diventa liberatorio il sapere che non si è vincolati dai propri immancabili errori, Questi possono essere immediatamente cancellati e corretti, appena se ne ha consapevolezza. Con il cartaceo tutto ciò non era agevole ed ogni cosa scritta in passato poteva essere un atto di accusa per il presente. Avevo creato questo mio blog intitolato ai “Carl Schmitt Studien” fra i primi dei miei attuali 24 blogs tematici. Non potendoli curare tutti contemporaneamente, mi appassiono a tempi alterni ora agli uni o agli altri. Ritengo certamente questo blog il più importante e per me caratterizzante. Tuttavia, mi sono distratto su altri blogs di carattere e contenuto politico.

Mi avvedo però che non è stata una distrazione inutile ed infeconda. Mi sono infatti immerso nella contemporaneità ed in questo contesto ho potuto misurare l’attualità di un pensiero come quello di carl Schmitt, che rischiava altrimenti di restare vincolato all’archelogico della situazione politica weimariana o della Germania degli anni Trenta. Ho potuto constatare come l’attualità del pensiero schmittiano si riveli oggi meglio di ieri e come le ragioni dell’ostilità e della demonizzazione del suo pensiero siano strettamente legati al nostro status quo ed alla condizione politicamente penosa dell’Europa uscita dal secondo conflitto mondiale. Da allora gli Stati europei, anche quelli che si ritengono vincitori sul nazifascismo, hanno in realtà perso ogni autonomia politica. Il pensiero di Carl Schmitt, con le sue tipiche categorie, sta a ricordarci che non possiamo autoilluderci. La nostra condizione è al massimo quella di vassalli ben foraggiati e vezzeggiati. Ma l’autonomia politica e la capacità di far politica, di agire politicamente, di essere arbitri in questioni di pace e di guerra, che continuano a porsi, non è affare che ci riguardi. Dobbiamo aspettare da fuori e da dentro le linee di condotta che ci sono consentite e quelle da seguire.

Il tema dell’antisemitismo di Schmitt sembra attrarre particolarmente Yves Charles Zarka. Anzi ne fa addirittura la chiave principale di lettura del testo di Schmitt allo stesso modo in cui numerosi altri autori che hanno scritto su Carl Schmitt hanno privilegiato ora l’uno ora l’altro aspetto racchiuso nel lungo arco della sua vita e del suo pensiero. Proprio per questo trovo interessante condurre una lettura sequenziale del testo di Grosso, edito da Zarka, accompagnandolo con un altro testo, di cui in Francia si è pure avuto dibattito. Intendo il libro di Avraham Burg il cui oggetto è il problema dell’odierna identità ebraica. Sarà interessante fare raffronti sulle differenti idee dell’ebraismo e sulle ricadute per quanto possa riguardare il discorso schmittiano.

2. Le tesi di Zarka. – Per colpa del mio preside, che ha smarrito l’unica copia della nostra biblioteca, peraltro non più in commercio, mi baso per adesso sulle due paginette di introduzione a Raphael Gross. Lo stesso Zarka ha tenuto in Strasburgo nello scorso anno un convegno sul “nazismo” di Schmitt, di cui non mi risulta siano ancora usciti gli atti. Mi aspetto che le tesi di Zarka siano svolte più ampiamente oltre che nel libro di Gross anche in altri scritti dello stesso Zarka, ai quali per il momento non posso accedere. Per fortuna il libro di Raphael Gross – a quanto ci informa Zarka – è lo studio più completo «sur le rapport de Carl Schmitt aux divers aspects de la figure du “juif”» (p. VIII). Già qui tiro un sospiro di sollievo, pensando che forse non ho perso il mio tempo nell’essermi occupato in modo del tutto autonomo negli ultimi due anni della figura dell’ebreo nella nostra contemporaneità. Se non mi fossi fatti mie proprie idee sulla materia, non avrei potuto accingermi all’analisi che ho in mente e dell’opera di Gross, ma soprattutto della luce che in Francia Zarka sta gettando sull’opera di Schmitt.

Non solo la figura dell’ebreo attraversa tutta l’opera di Schmitt dai primi scritti fino agli ultimi, ma è anche caratterizzata dalla sua ostilità. Naturalmente, resto in attesa della argomentazioni che andrò a leggere con ritmo sequenziale e in Zarka e in Grosso, ma intanto la mente mi conduce immediatamente alla dedica di quella che per me resta l’opera maggiore di Carl Schmitt, cioè la Dottrina della Costituzione, del 1928, dedicata a Fritz Eisler, un ebreo, studente universitario e compagno di studi caduto al fronte. Come ciò si concili con l’assunto dell’ostilità di principio è materia di competenza degli psicologi, capaci di spiegarci le più balzane contraddizioni della nostra psiche. Ricordo poi le ammissioni di una fonte per me importante: le Memorie di Günther Krauss, che ammetteva l’esistenza di un breve ma intenso antisemitismo di Schmitt, riconducibile però ad una matrice francese e per nulla nazista o razziale.

Zarka si pone poi il problema se l’idea che Schmitt si era fatta dell’ebreo fosse “reale” o “immaginaria”. Mi chiedo perché mai un simile quesito non lo si debba porre per Zarka stesso. Proprio in questi giorni si discute il Israele su un libro di Shlomo Sand, il quale divulga ad un pubblico più ampio ciò che era noto ad una cerchia di studiosi ebrei. Il “popolo” ebreo in quanto “popolo” non è mai esistito. La diaspora non vi è mai stata. Gli ebrei d’Europa – sterminati dai nazisti secondo Raul Hilberg – sono soltanto membri di una religione. Non solo il cristianesimo, ma anche l’ebraismo ha avuto i suoi convertiti, ossia persone di popoli diversi che si riconoscevano poi in una comune religione, ma senza essere un popolo. Vi è stata ostilità nel corso di tremila anni verso gli Ebrei, ma le ragioni vanno cercate nella storia e nella società. Sembra strano pretendere che il nazismo nei suoi undici anni debba avere tutta la responsabilità di tremila anni, prima e dopo di Cristo, di ostilità verso gli Ebrei, e Carl Schmitt una particolare responsabilità.

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