16 giugno 2015

Nel trentennio dalla morte ancora una vecchia questione spauracchio: i rapporti di Carl Schmitt con il nazismo. - Ripubblicazione di un documento decisivo: «L’Ufficio di Rosenberg contro Carl Schmitt», a cura di Günter Maschke.

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Sommario: Parte prima: Antonio Caracciolo. Due parole di introduzione alla faccenda. - Parte seconda: Günter Maschke. L’Ufficio di Rosenberg contro Carl Schmitt. - Parte terza: Il documento, tradotto in italiano con note originali e di commento. - Parte quarta: Il documento originale del testo, annotato e commentato in tedesco. - Sez. a: Prefazione tedesca di Günter Maschke; Sez. b: originale tedesco del documento Rosenberg. - Parte quinta: articoli delle “Deutsche Briefe”. –   || I testi vengono qui pubblicati dapprima  in un unico file e poi in singoli post, per una più agevole o distinta lettura, corredata anche da iconografia. - Bottom.

Parte Prima

Due parole di introduzione alla faccenda

La “neolingua”, di cui ci hanno avvertiti i romanzieri distopici Orwell, Huxley ed altri,  è ormai diventata una prassi abituale dei nostri media, i quali rispetto ad esempio a questo blog hanno un vantaggio quantitativo: sparano le loro parole d’ordine, le loro “menzogne sistemiche e programmate” (inutile arrabbiarsi o indignarsi: peggio ancora, si fa il loro gioco) per migliaia o milioni di copie al giorno, che poi diventano “mainstream”, ripreso da altri come fonte autorevole. Le più grossolane menzogne vengono citate e ripetute perché apparse e lette sul tal Quotidiano, e poco serve addurre controargomenti suffragati su documenti inoppugnabili. Per un discorso più ampio sulla «Fabbrica della manipolazione», su «come i poteri forti plasmano le nostre menti per rederci sudditi del Nuovo Ordine Mondiale», rinviamo però a un interessante testo (vedi immagine) che stiamo leggendo in questi giorni e che non avrà certo l’attenzione dei grandi canali di comunicazione, impegnati appunto a produrre “manipolazione delle menti”. Ritorniamo invece al nostro discorso, volto a smascherare una operazione di regime, di un regime che va scricchiolando per i disastri sempre più evidenti a cui ci ha condotto l’Impero venuto dopo il 1945. Sul fatto che il «nazismo» sia stato il «male assoluto» non è cosa di cui vogliamo ora discutere. Neppure vogliamo chiederci in cosa consisterebbe un siffatto “male”: non se ne può neppure parlare, pena fino a dodici anni di duro carcere. Nella sola Germania, dal 1994 ad oggi, sono ormai più di 200.000 i procedimenti penali per “reati di opinione”: guai a chi si azzarda a uscire fuori dai sentieri della “neolingua”! È così successo addirittura a una ministra tedesca della giustizia, subito dimissionata, per essersi permesso di dire che Bush con la “guerra preventiva” all’Iraq non aveva fatto cosa diversa da ciò che fece Hitler, reso responsabile per aver “preventivamente” scatenato la Seconda Guerra Mondiale, che produsse quel Tribunale di Norimberga ‘benemerito’ per aver introdotto nella cultura giuridica la completa equiparazione fra il criminale e il nemico vinto, dichiarato “criminale” appunto perché “vinto”. Le guerre - ormai tramontato il sistema giuridico di Westfalia – non si concludono più con trattati di pace, ma con l’istuituzione di Tribunali dove i vincitori processano i vinti. Per Katyn ne abbiamo visto delle belle, o meglio delle brutte, scoprendosi infine che uno dei Giudici di Norimberga era lui responsabili dei “crimini” attribuiti al “vinto”. Ma anche questi fatti, una volta scoperti e perfino ammessi, non producono nessun sconvolgimento nella “neolingua”: si va avanti lo stesso, come se nulla fosse. Ognuno sa come, per quanto riguarda il fascismo, messo nello stesso mazzo del nazismo, lo stesso ceto intellettuale e dirigente abbia cambiato giacca e distintivo dalla sera alla mattina. Per tutti valga l’ammissione di Norberto Bobbio, intervistato da Buttafuoco: in quegli anni di transizione, io ero antifascista quando mi trovavo in compagnia di antifascisti, e fascista quando mi trovavo in compagnia di fascista. Senza creare categorie teologiche come quella del “male assoluto”, sarebbe normale pensare che nel proprio tempo ogni opzione politica non solo è lecita, ma è anche doverosa se ogni cittadino ha il “dovere” di “partecipare”, di “andare a votare”, non già di astenersi. E dunque Carl Schmitt in quegli anni tragici per la Germania esercitò le sue normali opzioni di cittadino, senza essersi mai macchiati di reati puniti dal codice penale vigente. Anzi, nel suo più compromettente articolo, Der Führer schützt das Recht, ebbe proprio a dire che ciò che usciva fuori dalla “ragion di Stato”, cioè le vendette private che in quella Notte dei Lunghi Coltelli si consumarono, doveva essere punito a rigore di codice penale vigente. Dice Günther Krauss – fedele giovane discepolo di Carl Schmitt – che fu quella probabilmente la causa delle ritorsioni che Carl Schmitt ebbe a subire dalle SS che aveva avuto il coraggio di attaccare.

Ma veniamo a noi. Non possiamo ora riassumere tutti i documenti che abbiamo giù pubblicato nelle riviste “Behemoth” e “De Cive”, anch‘esse fuori dai circuiti della grande comunicazione della “neolingua”. Su un solo punto richiamiamo l’attenzione. Il documento che segue non solo è importante per chiarire la posizione interna al nazismo che Carl Schmitt ebbe ad avere, allo stesso modo in cui molti personaggi sia in Germania sia in Italia sopravvissero alla guerra e continuarono a vivere sotto il nuovo regime, che - come dice Cristo davanti a Pilato nel romanzo di Bulgakov “Il Maestro e Margherita” – non è eterno e sarà prima o poi sostituito da un altro, con gli attori di oggi costretti a vestire nuove casacche. È importante questo documento per un dato di dottrina. Ammessa la natura “völkisch”, cioè etnica, biologica, razziale, della nuova ideologia nazista che l’Ufficio di Rosenberg in concorrenza con altri era indaffarato a costruire, noi troviamo una importante e decisiva “scomunica” del concetto più importante e cardine di tutto il pensiero schmittiano: il concetto del politico, formulato da Schmitt per la prima volta nel 1927 ma presente in tutto l’impianto della «Dottrina della Costituzione», apparsa a stampa nel 1928. La contrapposizione amico-nemico non ha carattere “völkisch”: Rosenberg ha assolutamente ragione. In questo blog stiamo redigendo l’indice analitico proprio del testo testo del “Begriff des Politischen”: ogni studioso che ne abbia tempo e voglia può verificare di persona su un piatto non dico d’argento, ma servito pronto. Può scrivere tanti altri libri con poca fatica e costruirci pure una carriera, presentarsi ai concorsi.

È stupido riproporre la questione dei rapporti di Carl Schmitt con il nazismo. È soltanto una operazione di PNL, ossia di «Programmazione NeuroLinguistica», per la quale si rinvia al citato libro Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta, utile sintesi di problematiche che dovrebbero essere note a chiunque voglia premunirsi dai “poteri forti” che comandano la comunicazione del mainstream. È stupido perché ogni studioso serio sa che una simile questione andrebbe contestualizzata nel tempo e nello spazio. È stupido perché nessun specifico e personale addebito penale è ascrivibile a Carl Schmitt né prima né durante né dopo l’arco di tempo (1933-1945) il cui il nazismo è stato al potere. È stupido perché i detrattori di Schmitt sono essi stessi non meno condizionati dal potere e dai padroni ai quali obbediscono e dai quali sono pagati: poco importa se sono felici e liberi nella loro obbedienza. È stupido perché non si vede o si finge di non vedere che il «male assoluto», subito dopo il maggio del 1945, il mese dopo con Hiroshima e Nagasaki, il «male assoluto» è diventato ancora più “assoluto” e cresce di anno in anno fino a portare al rischio della distruzione dell’intero orbe terracqueo. E potremmo continuare a descrivere l’insensatezza di una simile operazione, che però ci è di sprone ad aggiornare e potenziare questo nostro blog, per mettere a disposizione di quanti, – sottraendosi alle regole grammaticali della neolingua – vogliono per davvero pensare, e comprendere – proprio grande a Carl Schmitt – come questa Europa sia una grande truffa, cosa che Schmitt aveva già visto e predetto nel 1928. I “poteri forti” non vogliono che si sappia e per questo danno fiato alle trombe della diffamazione.

Antonio Caracciolo



L’UFFICIO DI ROSENBERG
CONTRO CARL SCHMITT

Un documento dell’anno 1937

Verso la fine del 1936 Carl Schmitt si dimise da parecchie cariche, attraverso le quali aveva fino allora esercitato una considerevole influenza sul diritto nel nazionalsocialismo (1). Il 15 dicembre 1936 la Deutsche Juristen-Zeitung edita da Carl Schmitt smise la pubblicazione e rinacque nella Zeitschrift der Akademie für Deutsches Recht (2). Schmitt era diventato la vittima di una campagna, sulla cui riuscita e mandanti fino ad oggi non sappiamo molto (3). Un ruolo importante può averlo svolto Waldemar Gurian, un allievo di Schmitt emigrato in Svizzera, dove pubblicava la rivista della resistenza Deutsche Briefe, in cui a partire dal 1934 faceva uscire parecchi articoli, che descrivevano la condotta e le opinioni di Schmitt prima del 1933: i suoi rapporti in parte amichevoli con ebrei, lo scherno per le teorie della razza, l’interesse per l’impostazione marxista dei problemi (4). Evidentemente anche la rivista delle SS, Das Schwarze Korps, conosceva i testi di Gurian e li utilizzò nei suoi aspri attacchi a Schmitt nel dicembre 1936 (5). Il 7 gennaio 1937, più o meno dopo l’hallalì, anche le Mitteilungen zur weltanschaulichen Lage presero parte alla “battuta di caccia” al “giurista della Corona” (Gurian).

Le Mitteilungen (Comunicazioni) erano un servizio di informazione riservata, fatto in ciclostile e proveniente dall’Ufficio di Rosenberg. Benché con una lettera di Hitler del 24 gennaio 1934 Alfred Rosenberg fosse stato incaricato “della vigilanza di tutta l’istruzione ed educazione ideologica e spirituale del partito e di tutte le associazioni uniformate come pure dell’opera Kraft durch Freude” (6), il suo Ufficio dell’incaricato del Führer per la vigilanza spirituale ed ideologica della NSDAP (nell’uso linguistico: Ufficio di Rosenberg) fondato il 6 giugno 1934 non poté mai raggiungere l’influenza sperata. La sua competenza riguardava tanto l’istruzione ideologica quanto ciò che concerne la politica culturale, teatrale, letteraria ed universitaria del regime; ma nelle questioni veramente decisive i concorrenti di Rosenberg nel caos di poteri dello Stato del Führer, ad es. Joseph Goebbles, Heinrich Himmler o Robert Ley erano più forti. Se però di Rosenberg si tiene presente l’assai estesa politica dell’informazione, le numerose riviste che controllava, infine il gran numero di collaboratori in uffici centrali e periferici, allora si deve stimare almeno considerevole la sua influenza sul pensiero di molti funzionari.

Il rapporto qui presentato si distingue dai soliti attacchi nazionalsocialisti a Schmitt, per es. da quelli di Reinhard Höhn o di Otto Koellreutter, per l’eccitazione antiromana particolarmente intensa. Corrisponde esattamente alla concezione del mondo di Alfred Rosenberg, nella cui opera principale Il mito del XX secolo il cattolicesimo è il male ed il cancro per antonomasia, prima ancora dell’ebraismo e della massoneria (7). Va aggiunto che le Mitteilungen erano edite dalla sezione Archiv für kirchenpolitische Fragen all’interno dell’Ufficio di Rosenberg, la quale a partire dal 1937 firmava come “Amt Weltanschauliche Information” (8).

La lotta contro la Chiesa cattolica nelle Mitteilungen era sempre in primo piano. L’attribuzione dell’articolo apparso anonimo resta materia di supposizioni. Autore potrebbe esserne il dirigente della sezione suddetta, il dott. Matthes Ziegler, nato nel 1911, che fece parte per qualche tempo dell’Ufficio centrale della sicurezza del Reich e quindi delle SS; proprio il rinvio a Das Schwarze Korps all’inizio del parere fa pensare a ciò. Un precedente parere, che non conosciamo (9), redatto dall’Ufficio di Rosenberg potrebbe forse consentire delle illazioni. La Abteilung Schrifttumspflege (Sezione per la vigilanza sulla letteratura) dall’Ufficio di Rosenberg attaccava pure Carl Schmitt, e precisamente nella rivista Bücherkunde accessibile a cerchie più ampie. Vi apparve il 1° settembre 1937 un articolo piuttosto breve, in cui venivano ripetuti gli argomenti qui esposti, nel fascicolo del luglio 1939 un saggio più lungo, un po’ più posato ed accademicamente efficace, in cui ci si interessava anche del libro di Schmitt su Hobbes (10). Il capo redattore per le scienze giuridiche della Bücherkunde era il docente di diritto pubblico ed internazionale di Breslava Gustav Adolf Walz, al quale propriamente siffatte polemiche importavano meno. Che Carl Schmitt non potesse pensare di rendere il nazionalsocialismo accondiscendente nei confronti del cattolicesimo facendo uso di un qualche trucco argomentatorio è un fatto che non ha proprio bisogno di essere dimostrato (11). L’isterismo della cerchia di Rosenberg verso “Roma”, e contro le “congiure dei gesuiti”, era del resto una forza realmente efficace. Per giunta, ci si serviva di siffatti topoi anche con intenti manipolatori; era infine noto che essi ottenevano l’effetto desiderato sugli animi più semplici fra i compagni di partito.

Al di là del fatto contingente il testo che qui si presenta può ancora avere interesse sotto un duplice aspetto. In primo luogo esso dimostra una buona volta per tutte che i nazionalsocialisti non perdonarono mai l’intervento di Schmitt in favore dei gabinetti del Presidente. Ancora nel 1937 essi si rendevano perfettamente conto che il loro avversario da prendere sul serio non era stata la democrazia di Weimar (e le teorie pubblicistiche che l’appoggiavano), ma i gabinetti presidenziali e l’art. 48 da questi interpretato e messo in esecuzione. Proprio il documento che presentiamo conferma l’interpretazione di Schmitt in Legalität und Legitimität (12). In secondo luogo si mostra la grande capacità esplicativa del concetto schmittiano di “ordinamento concreto”, unendo qui una nuova interpretazione a quelle finora avute (13).

La pubblicazione si basa su di un esemplare delle Mitteilungen trovato nel 1981 presso un antiquario di Francoforte, in carta per duplicatori, 14 pagine in tutto e numerate in modo corrispondente. Dopo la frase conclusiva dell’articolo su Schmitt (“Questo è il nocciolo della dottrina di Carl Schmitt”) si trova: “Il foglio di comunicazioni della lega dei difensori del diritto nazionalsocialista comunica: il capo dei gruppi del Reich (il gruppo del Reich dei docenti degli Istituti superiori universitari” – e con ciò termina la pagina 14. Quindi il numero in questione delle Mitteilungen aveva ancora almeno una pagina 15. L’informazione, le cui parole erano qui riprodotte, si riferiva presumibilmente alle dimissioni di Schmitt dalle sue cariche (14).

L’ortografia e la punteggiatura dell’originale tedesco vengono conservate, egualmente le numerose sottolineature all’interno dei testi di Schmitt citati. Nell’originale le annotazioni si trovano a piè di pagina in senso stretto e si collocano – di volta in volta incominciando con “1” – alla fine della pagina corrispondente. Esse vengono qui rinumerate, dopo aver inserito fra parentesi quadre le proprie annotazioni. Le citazioni sono state controllate, senza annotare espressamente deviazioni alquanto piccole oppure omissioni non essenziali (ad es., “sentenze del tribunale” – Gerichtsurteile –, “sentenze giudiziarie” – gerichtliche Urteile –, ecc.). Le edizioni di volta in volta utilizzate sono però esattamente indicate. Annotazioni su citazioni vengono posposte fra parentesi.

Günter Maschke

NOTE

(1) Alla fine del 1936 Schmitt era presidente della sezione di diritto pubblico ed amministrativo nell’Accademia del diritto tedesco, dirigente del Gruppo di lavoro della categoria dei docenti degli istituti superiori universitari nella federazione dei giuristi tedeschi (BNSDJ), come pure membro della Commissione per gli Istituti superiori del sostituto del Führer (competente fra l’altro per le nomine alle cattedre giundiche).
(2) Cfr. Deutsche Juristen-Zeitung, 41. Jg., H. 24, del 15 dicembre 1936, con una “Conclusione dell’editore”, col. 1453-1456, ed alcune osservazioni preliminari di Hans Frank (“A conclusione”), in cui si dice fra l’altro: “...ci voleva un bel coraggio a sostenere la linea della lotta giuridica nazionalsocialista di fronte a tutto il mondo scientifico ancora assai influenzato in senso antitedesco senza aver riguardo ai continui attacchi purtroppo anche molto personali, in particolare all’editore Carl Schmitt. La grande prestazione di Carl Schmitt per il rinnovamento del diritto tedesco sarà in ogni tempo una superba testimonianza dell’egemonia intellettuale tedesca” (ivi, c. 1451-52).
(3) Cfr. l’esposizione in: J.W. BENDERSKY, Carl Schmitt – Theorist for the Reich, Princeton 1983, p. 219 ss.
(4) Cfr. Ia documentazione completa Deutsche Briefe 1934-1938. Ein Blatt der katholischen Emigration, rielaborata da Heinz Hürten, Mainz 1969, 2 voll.; spec. gli articoli su Schmitt nel vol. I: p. 52 ss., 214 ss., 403 ss.; nel vol. II: p. 107 ss., 130, 205 s., 240 ss., 288 s., 405 ss., 429, 489 ss., 498 s., 510. Su Gurian cfr.: H. HÜRTEN, Waldemar Gurian – Eine Zeuge der Krise unserer Welt in der ersten Hälfte des 20. Jahrhunderts, Mainz 1972.
(5) Si tratta degli articoli apparsi anonimi “Eine peinliche Ehrenrettung”, del 3 dicembre 1936, e “Es wird immer noch peinlicher!” del 10 dicembre 1936, in Das Schwarze Korps. L’autore era presumibilmente il capo del periodico, Gunter d’Aquen; occasione della polemica fu un articolo di sostegno in favore di Schmitt ad opera del suo allievo Günther KRAUSS, Zum Neubau deutscher Staatslehre – Die Forschungen Carl Schmitts, in Jugend und Recht, 10 novembre 1936, p. 252-253, dove veniva illustrata l’evoluzione del pensiero di Schmitt “dalla Chiesa attraverso lo Stato fino al Reich”.
(6) La lettera di Hitler è riprodotta in: Reinhard BOLLMUS, Das Amt Rosenberg und seine Gegner – Studien zum Machtkampf im nationalsozialistischen Herrschaftssystem, Stuttgart 1970, p. 54 s. – Il libro documenta in modo assai impressionante la debolezza politica di Rosenberg e del suo Ufficio qui solo brevemente accennata.
(7) Cfr. Alfred ROSENBERG, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, München 1943, 11ª ed. (1ª ed. 1930), spec. p. 245 ss., dove è aspramente attaccato Erich Przywara S.J., un amico intimo di Schmitt.
(8) Sui diversi uffici o sottosezioni dell’Ufficio di Rosenberg cfr. R. BOLLMUS, op. cit., 68 ss.
(9) Cfr. le osservazioni introduttive del documento infra allegato. BENDERSKY, op. cit” 240, nt. 84, menziona pure questo testo (con il titolo “Professor Carl Schmitt”), ma sembra conosca appena questo parere.
(10) Cfr. in Bücherkunde, 1° settembre 1937, serie 9, p. 498 il breve articolo di Helmut MERZDORF, Nur ein Werkzeug?, in cui fra l’altro si dice: “Gli (= allo scritto “Cattolicesimo romano e forma politica”, G.M.) spetta il mento di aver svelato e chiarito i metodi di lavoro del cattolicesimo politico... Egli (= Carl Schmitt, G.M.) dice qui della concezione cattolica del mondo, che fa diventare ‘tutte le possibilità e le forme politiche un mero strumento dell’idea da realizzare’. Questa frase decisiva contiene il programma di teoria dello Stato del cattolicesimo politico...”.
Il saggio del Dr. Gustav BERGER, Ein Staatsrechtslehrer als “Theologe der bestehenden Ordnung”, in Bücherkunde, Juli 1939, p. 332-328, si interessa più dettagliatamente dell’orientamento cattolico di Schmitt e giunge alla conclusione dal tono leggermente beffardo: “...egli dovrà necessariamente comprendere, quando lo consigliamo di non allontanarsi dalla sua precedente tendenza, ma di proseguirla in modo conseguente. Sarebbe una grande opera, se partendo ad esempio dalla complexio oppositorum tentasse una visione d’insieme della dottrina cattolica dello Stato, per così dire una teoria cattolica della politica. Senza ‘cattolicità’ Schmitt è privo della sua propria linea...” (ivi, 338).
(11 ) A Schmitt era imputato fra l’altro: di voler condurre i giuristi verso il nazionalsocialismo, di voler minare il nazionalsocialismo, di rappresentare una dottrina accentuatamente non cristiana, di essere un pensatore accentuatamente cattolico, ecc. In questo c’è qui soltanto un’ulteriore variante.
( 12) Cfr. le osservazioni aggiunte da Schmitt alla ristampa di Legalität und Legitimität in: Carl SCHMITT, Verfassungsrechtliche Aufsätze aus den Jahren 1924–1954. Materialen zu einer Verfassungslehre, Berlin, 1973, 2ª ed., p. 345-350.
(13) L’ “ordinamento concreto” di Schmitt implica così secondo B. RÜTHERS, Entartes Recht. Rechtslehren und Kronjuristen im Dritten Reich, München 1988, spec. 59 ss., una sottomissione al nazionalsocialismo secondo E. SCHWINGE e L. ZIMMERL, Wesensschau und konkretes Ordnungsdenken im Stratrecht, Bonn 1937, spec. p. 17-33, questo concetto scalza ogni certezza giundica; secondo A. MOHLER, Carl Schmitt und die “Konservative Revolution”, in: H. QUARITSCH (Hrsg.), Complexio oppositorum. Über Carl Schmitt, Berlin 1988, p. 129-151, esso è una ribellione contro le astrazioni, ma in quanto tale è pure una reazione contro il nazionalsocialismo, inoltre è connesso con un allontanamento di Schmitt dal cristianesimo (! G.M.). La lista postrebbe essere prolungata.
(14) Cfr. le Mitteilungen des NS-Rechtswahrerbundes, Nr. 12, del 15 dicembre 1936, p. 248, in cui si informa brevemente su queste dimissioni.

IL DOCENTE DI DIRITTO PUBBLICO

PROF. DR. CARL SCHMITT

Documento riservato proveniente dall’Ufficio di Rosenberg

X,1 All’Ufficio dell’incaricato del Führer per la vigilanza di tutta l’educazione spirituale ed ideologica della NSDAP sono spesso giunte domande, che si occupavano delle precedenti pubblicazioni del Prof. Dr. Carl Schmitt, dopo che questi venne impiegato per collaborare nel suo ambito specialistico da diversi uffici statali e di partito. L’incaricato del Führer per la vigilanza di tutta l’educazione spirituale ed ideologica della NSDAP ha tralasciato su ciò un approfondita presa di posizione, avendo soltanto informato tempestivamente già da parecchio tempo gli Uffici in oggetto [1]. Recentemente, dopo che un settimanale [2] del Movimento ebbe trattato pubblicamente la faccenda, si sono avute di nuovo numerose richieste di ulteriori informazioni presso l’Ufficio dell’incaricato del Führer per la vigilanza di tutta l’educazione spirituale ed ideologica della NSDAP. Appare perciò necessaria un’informazione riservata degli Uffici di partito, senza che con ciò venga presa in alcun modo posizione sull’attività del Prof. Dr. C. Schmitt nelle funzioni che gli sono state affidate.

Nel 1933 Carl Schmitt aderisce al nazionalsocialismo: “sempre più grandi e potenti appaiono allora tanto l’azione quanto il compito del movimento nazionalsocialista tedesco, che professa apertamente la sua responsabilità storica e assume su di sé del tutto pubblicamente l’impresa gigantesca di un’organizzazione portante Stato e popolo” (3). Tuttavia, nel 1932 egli additava ancora l’ “illegalità” di “nazionalsocialisti, comunisti, senza Dio o altro” (4).

Nel 1925 Carl Schmitt pubblicò il libro “Cattolicesimo romano e forma politica” nella collana di pubblicazioni dell’Unione dei laureati cattolici per la tutela della concezione cattolica [5].

Nel 1925 presso la Casa editrice del partito di centro renano egli redasse lo scritto “Die Rheinlande als Objekt internationaler Politik”, un pamphlet del partito di centro renano [6].

Ma con pari entusiasmo Schmitt nel 1930 loda anche lo spirito indipendente dell’ebreo Hugo Preuss, “la cui vita e opera hanno dimostrato la connessione fra libera cultura borghese e costituzione dello Stato” (7).

Potremmo anche chiederci se Carl Schmitt non fosse in un increscioso errore circa i futuri rapporti di forza, quando combatteva la NSDAP, cercando proprio lui di dimostrare che la realizzazione dell’idea nazionalsocialista era necessariamente illegale. Egli infatti insieme con il mezzo ebreo Jacobi [8] avanzava contro la dottrina dominante la tesi secondo cui non era possibile che ad esempio una maggioranza nazionalsocialista nel Reichstag sulla base di una votazione con maggioranza dei due terzi secondo l’articolo 76 modificasse con una legge di revisione costituzionale le “decisioni politiche fondamentali della costituzione”, ossia all’incirca il principio della democrazia parlamentare. Ciò sarebbe “cambiamento della costituzione, non revisione” (9). “Il senso delle disposizioni costituzionali sulla revisione della costituzione non è di avviare una procedura per l’abolizione del sistema di ordinamento, che dovrebbe essere approntata dalla costituzione” (10). Sottolinea dettagliatamente: “Davanti ai numerosi pareri e sentenze giudiziarie sulla legalità o illegalità dell’organizzazione nazionalsocialista, sull’appartenenza sotto il profilo del diritto del lavoro e del pubblico impiego a siffatte organizzazioni, sulla “pacificità” delle loro riunioni, ecc. io vorrei ancora una volta sottolineare che per nazionalsocialisti, comunisti, senza Dio o altro la risposta decisiva a domande del genere, se devono essere fatte oggettivamente dal punto di vista della scienza giuridica, non può essere affatto desunta da singoli isolati articoli della costituzione, per esempio il 118 (libertà di manifestazione del pensiero) o il 130 (libertà di opinione politica degli impiegati pubblici) o addirittura da singole disposizioni di leggi occasionali o di decreti d’emergenza, ma da questa concezione fondamentale del sistema di legalità ed in particolare dell’articolo 76 RV” (11). Egli sottolinea che senza un suo “fondamento” giuridico la terrorizzazione del movimento nazionalsocialista non era affatto possibile: “Ogni favoritismo della forma di Stato esistente o addirittura dei partiti di volta in volta al governo, sia pure con sovvenzioni per la propaganda, nella pubblicità delle trasmissioni radiofoniche, delle gazzette ufficiali, l’applicazione della censura obbligatoria, la riduzione dell’attività dei partiti politici o dell’appartenenza partitica degli impiegati pubblici nel senso che il partito di volta in volta al governo permette agli impiegati pubblici soltanto l’appartenenza al proprio partito o ai partiti non troppo lontani dalla politica del suo partito, i divieti di riunione contro partiti estremi, la distinzione in partiti legali e rivoluzionari secondo il loro programma, tutte queste cose sono nel senso dell’art. 76 grosse e provocanti incostituzionalità. Per la ‘vecchia’ dottrina dominante non possono esserci per il loro scopo o per il contenuto dei loro sforzi partiti, tendenze, organizzazioni, associazioni, ecc. illegali” (12). Egli soltanto, Carl Schmitt, con la sua ‘nuova’ dottrina spianava al governo Brüning la strada per le sue misure di forza.

Osserviamo anche un interessante cambiamento nella sua concezione dell’estensione dei poteri del presidente del Reich nell’applicazione dell’articolo 48 della costituzione di Weimar. In seguito alla prassi contraria a questa limitazione anche Schmitt estese la competenza dell’articolo alle disposizioni con forza di legge. Carl Schmitt si mise però in contrasto con i giuristi democratici della Corona Anschütz-Thoma, quando nel 1933 [13] estese illimitatamente i diritti dell’art. 48. Queste motivazioni assicuravano al gabinetto Brüning la possibilità di sospendere oltre i diritti fondamentali anche gli altri (14).

Carl Schmitt, che in modo assai aspro polemizzò contro il concetto di Stato di diritto (15), aveva definito lo Stato come “forma giuridica, il cui senso consiste esclusivamene nel compito di realizzare il diritto, di produrre una condizione del mondo, che corrisponde il più possibile alle esigenze che si possono desumere dalle idee del diritto nel comportamento degli uomini singoli e nell’edificazione del mondo esterno. In questa definizione, secondo cui lo Stato dipende dal diritto, è particolarmente importante che si lasci entrare lo scopo nella definizione concettuale dello Stato e si veda nello Stato uno strumento dell’azione del diritto sulla realtà” (16).

Sembra tuttavia esserci una considerevole diversità nella valutazione del dominio durato quattordici anni del sistema pluralistico dei partiti, che comunque non riusciva a distruggere del tutto la grande tradizione dello Stato burocratico tedesco (17), contenuta nella Critica dello Stato pluralistico a pag. 25 (18) ed il seguente riconoscimento dei partiti nella Dottrina della costituzione del 1928, pag. 247: “Non c’è nessuna democrazia senza partiti, ma solo perché non c’è nessuna democrazia senza opinione pubblica e senza il popolo sempre presente. Tanto poco l’opinione pubblica si lascia trasformare in una competenza dell’autorità quanto poco un partito può trasformarsi in una autorità, senza perdere il suo carattere di partito, giacché infatti nemmeno il popolo si lascia trasformare in un’autorità pubblica, senza cessare di essere popolo. L’odierna superiorità delle organizzazioni partitiche rispetto al parlamento si basa sul fatto che essi corrispondono al principio democratico dell’identità in quanto – come il popolo – sono sempre esistenti e presenti, senza rappresentarlo”.

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* Traduzione dal tedesco di Antonio Caracciolo, apparsa in “Behemoth”, n. 5, gennaio-giugno 1989, p. 29-38. Il testo originale apparve contemporaneamente in Zweite Etappe (Bonn, Oktober 1988). Le note di Günter Maschke figurano fra parentesi quadre, quelle originali del documento sono fra parentesi tonde. L esottolineature del testo ciclostilato sono sostituite con il carattere corsivo. Il titolo originale del documento è: Der Staatrechtslehrer Prof. Dr. Carl Schmitt ed appare sotto la seguente dicitura: Vertraulich. Mittelungen zur weltanschaulichen Lage. Der Beauftragte des Führers far die Werwachung der gesamten geistigen und weltanscaulichen Erziehung der NSDAP, Berlin W 35, Margaretenstraße 17/13 2 Lutzow 9541, con data: 8. Januar 1937, e numerazione: Nr. 1, 3. Jahr.

NOTE:

[1] Cfr. supra, alla nota 9 della Presentazione.

[2] Cfr. supra, alla nota 5 della Presentazione.

(3) CS, Staat, Bewegung, Volk, Hamburg 1933, p. 28.

(4) CS, Legalitat und Legitimität, München u. Leipzig 1932, p. 50 s.

[5] La seconda edizione dello scritto apparve nel 1925 presso Theatiner Verlag in Monaco come vol. XIII delle “Veröffentlichungen des Verbandes der Vereine Katholischer Akademiker zur Pflege der katholischen Weltanschauung” (Pubblicazioni dell’Unione delle Associazioni dei laureati cattolici per la cura della concezione cattolica del mondo). L’intera collana era intitolata Der katholische Gedanke.

[6] Esattamente: CS, Die Rheinlande als Objekt internationaler Politik, Köln 1925, Kommissionsverlag der Rhein. Volkswacht Köln, Domstr. 6, Flugschriften zum Rheinproblem, Heft 4.

(7) CS, Hugo Preuss. Sein Staatshegriff und seine Stellung in der deutschen Staatslehre, Tübingen 1930, p. 25.

[8] Cfr. su ciò CS/Erwin JACOBI, Die Diktatur des Reichspräsidenten, in: Veröffentlichungen der Vereinigung der deutschen Staatsrechtslehrer, Berlin 1924, H. 1, p. 63 ss., p. 105 ss. (il contributo di Schmitt pure come appendice a: CS, Die Diktatur, München und Leipzig, 1928, 2ª ed., p. 63 ss.). L’autore delle Comunicazioni travisa il contenuto, dal momento che a Schmitt ed a Jacobi nelle loro relazioni al congresso dei docenti di diritto pubblico svoltosi il 14/15 aprile 1924 interessavano soltanto i poteri dittatoriali del presidente del Reich (art. 48), e per nulla l’art. 76. Inoltre nel 1924 la NSDAP non era proprio un elemento determinante di potere, che potesse giustificare simili considerazioni! Più tardi si trovano taluni paralleli fra CS e Jacobi, per ciò che riguarda le loro opinioni sulla modificabilità della costituzione. Il numero dei pubblicisti che sostenevano la modificabilità a piacere mediante deliberazioni di maggioranza diminuiva però costantemente nella seconda metà degli anni venti; cfr. CS, Legalität und Legitimität, cit., p. 49 s. – Le Comunicazioni sono qui particolarmente interessanti perché dimostrano ancora una volta che l’interpretazione di giuristi democratici come Anschütz (o anche Kelsen), secondo cui tutte le modificazioni della costituzione erano possibili – ammesso che ci fossero le maggioranze corrispondenti – era ai nazionalsocialisti più gradita delle elaborazioni di Schmitt, ad esempio in Legalität und Legitimität.

(9) CS, Verfassungslehre, München und Leipzig, 1928, p. 24-26, 103, 104, 105, 391, ecc. – [Le Comunicazioni elencano qui passi scelti piuttosto a caso, che si trovano in un rapporto approssimativo con il problema discusso. La citazione si trova a pag. 105 della Verfassungslehre: “Le decisioni politiche fondamentali della costituzione sono materia del potere costituente del popolo tedesco e non spettano alla competenza delle istanze competenti per le revisioni e le modifiche legislative costituzionali. Modifiche simili producono un cambiamento della costituzione, non una sua revisione”. – Il rapporto delle Comunicazioni con il testo di Schmitt e la tecnica della omissione vanno qui a finire in una consapevole falsificazione del senso].

(10) CS, Legalität und Legitimität, cit., 61.

(11) Ivi, 51 ss.

(12) CS, Legalität und Legitimität, cit., 50-51 [La vecchia “dottrina dominante” à la Anschütz è qui esattamente descritta da CS: “In Anschütz invece la neutralità di fronte ai valori di un sistema di legalità che funziona appena giunge contro se stessa fino alla neutralità assoluta ed offre il mezzo legale all’abolizione della legalità stessa; essa giunge quindi con la sua neutralità fino al suicidio”. Cfr. anche G. ANSCHÜTZ, Die Verfassung des Deutschen Reichs vom 11. August 1919, Berlin 1933, Vierte Bearbeitung, XIV ed., p. 400-408].

[13] Deve interdersi: 1932.

(14) CS, Legalitat und Legitimitat, cit., 71. [Del resto l’autore si riferisce presumibilmente al decreto d’emergenza del 13 aprile 1932, con il quale si ordinava lo scioglimento delle SA e delle SS. Cfr. su ciò: E.R. HUBER, Deutsche Verfassungsgeschichte seit 1789, Bd. VII, Stuttgart 1984, p. 938 ss. CS non aveva niente a che fare con questi provvedimenti di Brüning, il suo scritto Legalität und Legitimität apparve solo nell’inverno 1932].

(15) CS, Der Begriff des Politischen, ed. 1933, p. 51-52; ID., Staat, Bewegung, Vo/k, cit., 23 e 26; ID., Staatsgefüge und Zusammenbruch des zweiten Reiches, Hamburg 1934, p. 14. [Nei luoghi indicati interessa meno lo Stato di diritto che non la polarità di etica ed economia. È quanto meno degno di rilievo il fatto che la peculiare presa di posizione di Schmitt sullo Stato di diritto non è menzionata. Cfr. CS, Was bedeutet der Streit um den ‘Rechtstaat’? in: Zeitschrift fur die ges. Staatswissenschaft, 1935, p. 189-201, così come l’introduzione e la postfazione di Schmitt a: Disputation über den Rechtsstaat, di Günther Krauß / Otto von Schweinichen, Hamburg 1935].

(16) CS, Der Wert des Staates und die Bedeutung des Einzelnen, Tübingen 1914. p. 52. [La superiorità del diritto di fronte allo Stato sostenuta in questo primo senso di Schmitt non significa affatto un’arringa in favore dello Stato di diritto democratico-liberale, come qui suggeriscono le Comunicazioni].

(17) CS, Staat, Bewegung, Volk, cit., 30.

(18) Ivi, 25.



TESTO ORIGINALE TEDESCO:
a) Prefazione di  Günter Maschke
b) Testo del Documento

a.
Das »Amt Rosenberg« gegen Carl Schmitt
Ein Dokument aus dem Jahre 1937

Von
Günter Maschke

Gegen Ende des Jahres 1936 legte Carl Schmitt mehrere Ämter nieder, durch die er bis dahin beträchtlichen Einfluß auf das Rechtswesen im nationalsozialismus ausgeübt hatte (1). Am 15. 12. 1936 stellt auch die von Carl Schmitt herausgegebene Deutsche Juristen-Zeitung ihr Erscheinen ein und ging in der Zeitschrift der Akademie für Deutsches Recht auf (2). Schmitt war das Opfer einer Kampagne geworden, über deren Drahtzieher wir bis heute nicht allzuviel wissen (3). Eine bedeutende Rolle mag dabei Waldemar Gurian gespielt haben , ein in die Schweiz emigrierter Schüler Schmitt, der dort die Wider tand zeit chrift Delltsche Briefe herausgab, in der.er ab 1934 mehrere Artike l ve röffentlichte, die Schmitt Verhalten und eine An iehten vor 1933 childerten: ein teilwei e freundschaftlich er Verkehr mit Juden , ein Spott. über Ras e-Theorien, e in Intere e für marxi ti ehe Frage te llungen.- Offen iehtlieh kannte aueh die Zeitehrift der SS, Das Schwarze Korps, Gurian Texte und benutzte ie bei ihren eharfen Angriffen auf Schmitt im Dezembe r 1936.s Am 7. I. 1937. mehr oder minder bereit

b.
DER STAATSRECHTSLEHRER PROF. DR. CARL SCHMITT

[Avvertenza: la traduzione fu da me eseguita a suo tempo direttamente dalla fotocopia del dattiloscritto originale a me fatto pervenire da Günter Maschke. Appena questo dattiloscritto verrà fuori dal mio archivio o maschke me ne fornirà nuova copia, ne pubblicherò direttamente le immagini. Il testo tedesco, comunque, come si è detto era stato in pubblicato in contemporanea dalla rivista Etappe, dal quale viene ora qui ripreso tramitte scanner e riprodotto]


X,1 - Der Dienststelle des Beauftragten des Führers zur Überwacung der gesamten geistigen und weltanschaulichen Erziehung der NSDAP sind häufig Anfragen zugegangen, (segue)

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09 giugno 2015

LT585. - Walther Köhler (1847-1946), Besprechung der Schrift "Ueber Schuld und Schuldarten".

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Il testo che segue, del 1911, è in assoluto allo stato delle ricerche bibliografiche il primo scritto di Sekundärliteratur sulle opere di Carl Schmitt. Se - come pare probabile –  il “Prof. Dr. Köhler, München” che firma questa breve Recensione a “Ueber Schuld und Schuldarten”, uscite l’anno prima, nel 1910, in Breslau, è lo stesso Walther Köhler, che nel 1915 recensisce “Der Wert des Staates”, allora è nato nel 1870 e muore nel 1946. Nel volume 1912-1915 dei Tagebücher finora usciti si trova un Dr. iur. Josef Kohler (p. 84), nato nel 1849 e morto nel 1919. Fu profesore di Schmitt a Berlino nel 1907 (p. 204, nt). Di quest’ultimo Schmitt parla in una pagina di diario del 21 dicembre 1914. E di un Kohler (senza Umlaut sulla o) parla lo stesso Walther Köhler nell’ampia recensione a ”Der Wert des Staates” apparsa nello Schmollers Jahrbuch del 1915 e ripubblicato in Appendice (pp. 377-380) degli stessi Tagebücher. In ogni caso, resta importante il fatto che in assoluto si tratta del primo scritto di Sekundärliteratur, finora noto, ma è difficile che ve ne sia un altro ancora precedente.
* * *
B.
(Status 1.2 / 9.6.15.
Traduzione italiana in programma)

Walther KÖHLER
(1847-1927)
Besprechung der Schrift von Carl Schmitt
«Ueber Schuld und Schuldarten»
in:
Deutsche Juristen -Zeitung, 1911, Nr 14, Sp. 940
Ueber Schuld und Schuldarten. Eine terminologische Untersuchung. Von Dr. jur. Carl Schmitt. 1910.
Breslau, Schletter. 4 M.

Die selbständige, die Literatur gründlich beherrschende Arbeit befaßt sich nur mit dem geltenden Recht. Die Schuld erscheint ihr als Willensschuld, und zwar im Gegensatz zu Thyrén als Einzelvorgang, nicht als Charakterzustand. Dem ist zuzustimmen. Bedenklich ist dagegen die Annahme, man dürfe nicht von Vorsatz und Fahrlässigkeit als Schuldarten ausgehen, um die Schuld zu bestimmen, sondern müsse umgekehrt vorerst den Schuldbegriff festgestellt haben (S. 14). Denn im positiven Recht finden wir wiederholt die Ausdrücke: “schuldhaft”, “Verschulden”, “Schuld” als reine Zusammenfassung von Vorsatz und Fahrlässigkeit. Demnach ist die Schuld hier wirklich Oberbegriff, und es bleibt in der Ordnung, wenn man zur Analyse desselben Vorsatz und Fahrlässigkeit als dessen Unterarten in ihren gemeinsamen positivrechtlichen Merkmalen heranzieht. Zuzugeben ist nur, daß diese beiden Begriffe dann keine Arten der Schuld sind, wenn man ihnen jede Beziehung zu einer entgegenstehenden Norm nimmt (S. 102 f.). Beispiel: vorsätzliches Kopfschütteln. Inwieweit eine solche Begriffsausdehnung mit dem geltenden Recht vereinbar ist, bedürfte spezieller Prüfung, namentlich für die Fahrlässigkeit. Dem Verf. ist auch sie bloßes Schuldsymptom. Er sieht einen bösen Willen des Fahrlässigen schon darin, daß sein Willensakt nicht der Vorstellung entspricht, die der zur Verantwortung Ziehende erwartete (S. 63). Die Möglichkeit eines Pflichtbewußtseins gehöre nicbt zur Schuld (S. 89). Damit schwindet aber u. E. jeder Unterschied zwischen fahrlässigem und zufälligem Herbeiführen eines rechtlich unerwünschten Erfolges dahin.
Professor Dr. K ö h1er, München.
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07 giugno 2015

LT587. - Ludwig Lemme (1847-1927), Besprechung der Schrift “Der Wert des Staates”.

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Un ritratto di Ludwig Lemme lo si può avere, a pagamento, in un sito specializzato, dove lo si può però osservare ma non scaricare. Non abbiamo trovato in internet una foto di pubblico dominio. L’immagine è stata digitalizzata dall’originale della Heidelberg Universitätsbibliotek, dove è dato l’anno di nascita: 1847 e quello di morte: 1927. Nella bibliografia schmittiana il teologo Lemmer compare per una recensione al libro di Schmitt “Der Wert des Staates”, uscita sul Theologisches Literaturblatt, 1914, Leipzig, 35. Jahrg., S. 494-495. Si puà leggere il testo online nel sito dell’Università di Tubinga. Il testo è stato ripubblicato in Appendice, p. 376-77, dei Carl Schmitt Tagebücher, Oktober 1912 bis Februar 1915, dove però non si legge il nome del recensore, come invece succede in altri casi, ad esempio per Felix Halldack. Registrandosi, è possibile leggere sul Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon tre colonne di testo su «Lemme Ludwig, ev. Theologian, * 8.8. 1847 Salzwedel, †26.10.1927 in Heidelberg». Di Ludwig Lemme uscì nel 1901 un libro dal titolo: «Das Wesen des Christentum und die Zukunftsreligion».

* * *
B.
(Status 1.2 / 9.6.15.
Traduzione italiana in programma)

Ludwig LEMME
(1847-1927)
Besprechung der Schrift von Carl Schmitt
«Der Wert des Staates»
in:
Theologische Literaturblatt, 1915, B. 35, S. 494-95

Schmitt, Dr. Carl, Der Wert des Staates und die Bedeutung des Einzelnen. Tübingen 1914, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck) (VIII, 110 S. gr. 8). 3 Mk.

Theolog. LB, 1914, 494
Schmitts rechtsphilosophische Untersuchung, in welcher der Tatsachenjurisprudenz eine Normenjurisprudenz entgegentritt, ist ein Symptom dafür, dass die historische Rechtssohule sich genötigt sieht, der Rechtsphilosophie ihr Feld einzuräumen, und dem Theologen interessant unter dem Gesichtspunkt, wie auch in der Rechtswissenschaft Empirismus und Historizismus allmählich überwunden wird. Die eigentliche Bewegungskraft des Rechts liegt doch nicht in kritischer Sichtung des historisch Gewordenen, sondern diese selbst wird vollzogen von einem ursprünglichen Rechtssinn, dem das historisch Gewordene entsprungen ist, wie ihm die Fortbildung desselben entwächst.

In scharfsinniger Weise weist Schmitt dem Historizismus nach, wie dieser die ideelle Bewertung, welche derselbe bestreitet, selbst stets voraussetzt. Aber der Idealismus, welchen Schmitt dem Empirismus entgegenstellt, ist nun nicht ein Realidealismus, welcher die Empirie sachgemäas würdigt, sondern ein an Kants Apriorismus anknüpfender und an Fichte und Hegel erinnernder antiempirischer Idealismus, den er mehr behauptet als begründet. Wenn er den auf induktivem Wege gewonnenen Staatsbegriff ablehnt und behauptet, der Begriff des Staates könne nur dadurch ermittelt werden, dass ihm in einem System von Werten eine Stelle angewiesen wird, so ist doch die Frage: wo kommt denn dieses von aller Empirie losgelöste System von Werten her? Und da würden wir wieder bei der aprioristisehen Spekulation Hegels anlangen. 

TLB, 495
Mir scheint, bei genauerer Erwägung müsste Schmitt sehen, dass wir ohne Empirie keine Anschauung und keine Idee vom Staat haben, und müsste daher der Induktion und der Abstraktion mehr Bedeutung zugestehen, als er dies bisher gewillt ist. Wenn Schmitt das Recht, das er nur berücksichtigt, insofern es seine reohtsphilosophische Definition des Staates begründet, ansieht als „reine, wertende, aus Tatsachen nicht zu rechtfertigende Norm" (S. 2) oder nach anderen Aussagen als eine Reihe oder Summe von Normen, und wenn er die Ableitung des Rechtes aus dem sittlichen Bewusstsein ausdrücklich ablehnt, so ständen wir glücklich wieder (wenn auch in veränderter erkenntnistheoretischer Form) bei dem alten Naturrecht (S. 76), das wir längst als überwunden ansahen.

Wenn Schmitt gemäss seiner idealistischen Konstruktion den Sinn des Staates darin findet, den Uebergangspunkt von der vorempirischen Norm des Rechtes zur realen empirischen Welt zu bilden, so entstammt seine Definition des Staates als Rechtsstaat, dessen Sinn ausschliesslich darin bestehen soll, Recht zu verwirklichen, doch lediglich einer historischen Tradition, welche die meisten Ethiker als längst überschritten ansehen. Dass Recht und Staat in engem Zusammenhang stehen, weiss jeder. Aber dass dieser durch die Formel gelöst sei: „Der Staat ist aus dem Rechte abzuleiten und sein Wesentliches in einer besonderen Position zum Recht zu erblicken" (S. 42), werden wenige Juristen zugestehen, und noch weniger Historiker und Ethiker können es zugestehen. Der Satz S. 54: „Vom Recht bis in jedes Element beherrscht, kann der Staat nur das Recht wollen", empfängt in diesen Tagen welthistorischer Vorgänge eine Beleuchtung, die ihre völlige Einseitigkeit und ganze Unhaltbarkeit verdeutlicht.

In dieser Einseitigkeit der gründlich eindringenden Untersuchung liegt ja nun eine starke Anregungskraft begründet. Aber die Einseitigkeit macht sie auoh für diejenigen unwirksam, die dem Verf. darin nicht zuzustimmen imstande sind, dass als Subjekt des juristischen Denkens „die transzendentale Einheit der juristischen Apperzeption" anzusehen sei. Denn dass wir hierbei auf dem Boden der Willkür stehen, erhellt daraus, dass Schmitt gar nicht für nötig gehalten hat, sich mit dem gegenwärtig doch sehr verbreiteten Begriff des Kulturstaates auseinanderzusetzen.

Bei aprioristischer Konstruktion ist aber gar nicht einzusehen, weshalb nicht ebensogut vom Begriff der Kultur wie von dem des Rechtes ausgegangen werden könne. Wenn Schmitt behauptet, der Sinn des Staates liege darin, Recht zu verwirklichen (S. 68), was soll einen anderen hindern, die Theorie durchzuführen, sein Sinn sei, Kultur zu verwirklichen? Die rechtsphilosophische Folgerung aus der Staatstheorie für die Bedeutung des Einzelnen spricht sich aus in dem Satz (S. 88): „Die Souveränität der transzendentalen Einheit der Apperzeption vor dem konkreten Bewusstsein als psychologischem Faktum bedeutet, in die Rechtsphilosophie übertragen, nur die Belanglosigkeit des Einzelnen." Also im Widerspruch zum Individualismus das entgegengesetzte Extrem! Dar Satz, dass das Gesetz um des Menschen willen, nicht aber der Mensch um des Gesetzes willen da sei (S. 99), hat doch nicht bloBS die praktische Geltung, die der Verf. ihm zugestehen will, sondern auch wichtige prinzipielle: allerdings gibt es kein Gesetz ohne die Gesellschaft, aber es gibt auch kein Gesetz vor den Individuen. Der Verf. meint diesen Gesichtspunkt durch die Wertbetrachtung zu übersehreiten, die ihm Axiom ist. 
Lemme- Heidelberg.
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LT122. - Felix Holldack: Besprechung der Schriftt “Gesetz und Urteil” - Traduzione italiana in progress.

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Felix Holldack
Di Felix Holldack si trovano in rete le seguenti scarne notizie: giurista tedesco, nacque il 10 ottobre 1880 a Königsberg, morì il 29 maggio 1944 in Garmisch-Partenkirchen. Era di religione cattolica. La foto e i dati riportati sono tratti dal sito dell’Università di Leipzig, che a sua volta prende la foto dall’archivio dell’università di Dresda. La recensione apparve sui Kant-Studien, 1912, B. 11, S. 464-467. Viene qui pubblicata dapprima in formato immagine ed in seguito in forma trascritta ed anche tradotta. Il testo (qui riprodotto da fotocopia dell’originale a stampa) è ripubblicato in Appendice, p. 371-375 nei Carl Schmitt Tagebücher. Oktober 1912 bis Februar 1915, Herausgegeben von Ernst Hüsmert, 2., korrigierte Auflage, Akademie Verlag, 2005. I diari e le lettere, ora pubblicate, rivelano l’esistenza di una conoscenza personale fra Felix Holldack, più anziano e professore dal 1914, e Carl Schmitt, che il 22 ottobre 1912 riceveva una lettera della quale si rallegrava.

* * *
Bottom.
(Status 1.0 / 6.6.15.
Testo originale tedesco)

Felix HOLLDACH
Recensione dello scritto di Carl Schmitt
«Legge e giudizio»
in:
Kant-Studien, 1912, B. 11, S. 464-467

Schmitt, Carl. Legge e giudizio. Una ricerca sul problema della prassi giuridica. Berlin, Verlag von Otto Liebmann. 1912. (129 S.)

Kant-Studien, XI, 464
Schmitt nelle sue ricerche metodologiche vuole “die leitende Idee der heutigen Praxis auffinden und dieser dadurch nutzen, dass er ihr zur Selbstbesinnung auf ihre Zwecke und Mittel hilft”. Er stellt sich die Aufgabe, “die Methode der modernen Rechtspraxis auf eine Formel zu bringen, die ausdrückt: Wann haben wir von einer rechtlichen Entscheidung zu sagen, dass sie richtig sei?” In bewusster Scheidung zwischen Wert- und Wirklichkeitsbetrachtung hebt er den Beurteilungsmasstab aus einem Postulat, stellt aber die Verbindung zwischen seiner normativen Betrachtung und dem zur Untersuchung stehenden empirisch-bestimmten Erscheinungskomplex dadurch her, dass er die empirische Geltung dieses Postulats in der Summe eben dieser der Erfahrung zugllnglichen Vorgänge (moderne Rechtspraxis) zum Ausleseprinzip erhebt.

Er weist erneut darauf hin, dass jede Besinnung über das Merkmal der Richtigkeit für die Praxis strikt zu scheiden sei von der juristischen Verarbeitung des Rechtstoff, “des geltenden Rechts”. Es gelte daher für die ganze Untersuchung diese methodisch vollständig selbständigen Geltungen innerhalb desselben Wissensgebietes auseinander zu halten (auch S. 57). Damit sei auch grundsätzlich zu scheiden zwischen den Fragen: “Wann ist richtig entschieden?” und: “Wann ist richtig interpretiert?” Die Richtigkeit einer Entscheidung leitet er aus dem Postulat der Rechtsbestimmtheit ab. Die Legitimation dieses Kriteriums, dessen praktische Allgemeinheit und methodische Bedeutung vollständig zusammenfalle (S. 56), sucht er zu erweisen durch dessen widerspruchslose Anwendbarkeit auf alle Erscheinungen der Rechtspraxis (S. 59 ff.). In den diesem Thema gewidmeten Ausführungen lehnt Sch. nicht nur noch einmal das herrschende Kriterium der Gesetzmässigkeit mit aller Schärfe ab, sondern er zeigt auch, dass etwa das Postulat der Gerechtigkeit als Kennzeichen der Richtigkeit richterlicher Entscheidungstätigkeit wegen überaus häufiger Unmöglichkeit der Verwendung nicht in der Auswahl unter den denkbaren Postulaten den Vorzug verdienen könne.

Die Formel für solche richtige Entscheidung präzisiert Sch. dahin: «Eine richterliche Entscheidung ist heute dann richtig, wenn anzunehmen ist, dass ein anderer Richter ebenso entschieden hätte. “Ein anderer Richter” bedeutet hier den empirischen Typus des modernen rechtsgelehrten Juristen.» (S. 71.) Den Hauptwert der Formel sieht Sch. aber darin, dass letztere eine widerpruchslose Lösung der Komplikationen gewähre, «die sich daraus ergeben, dass auf der emen Seite dem Gesetz seine Autorität gewahrt bleiben müsse, sodann aber gleichzeitig Entscheidungen praeter und zuweilen solche contra legem ergehen müssten, die als richtig bezeichnet würden, obwohl sie kaum noch “quellenmässig” zu nennen seien.»

Sch. gewinnt diesen Ausweg durch die Reflexion, dass ein Moment die Frage nach einem lediglich der Praxis eigenen Prinzip methodischer Betrachtung von allen jenen Ansichten scheide, welche aus der Erfüllung des Kriteriums der Gesetzmässigkeit solche Richtigkeit ableiten wollten. Denn letztere - mögen sie sich auf das geschriebene Recht allein stützen, mögen sie überpositive Kulturnormen oder Satzungen des freien Rechts herbeiziehen - legten doch immer zeitlich und logisch die Bedeutung ihrer Normen vor die Entscheidung. Von ihnen aus trete der Richter an diese Entscheidung heran, um durch Subsumption seine Entscheidung als quellenmässig zu legitimieren. Gegenüber diesem Kriterium der Gesetzmässigkeit verlege das praktisch spezifische Merkmal der Richtigkeit das Schwergewicht dahin, dass der Riohter nur «eine Norm als Mittel benutze, um zu berechnen, was heute bei diesen Normen, bei diesen Präjudizien, von der Praxis des Rechts allgemein als richtig betrachtet würde» (S. 98).

Kant-Studien, XI, 465
Die Subsumption verliere daher vollständig den Charakter eines Endzwecks und komme nur insoweit in Betracht, als sie der Verwirklichung des ausgewählten Postulats diene. Wo daher solche subsumierende Tätigkeit in dem obersten Zweck nicht möglich sei, müsse die Gesetzmässigkeit hinter der Rechtsbestimmtheit zurückstehen, wenn anders nicht das Kriterium der Richtigkeit cessieren solle. Richtig bleibe dagegen die contra legem ergangene Entscheidung dann, wenn “sie von dem anderen Richter (der gesamten Praxis) in der gleichen Weise getroffen wäre” (S. 112). Jene vorausberechnende Tätigkeit könne der Richter ohne inhaltloseste Subjektivität zu verfallen, darum ausüben, weil es für ihn nur darauf ankomme, die empirisch gegebenen Wertbeziehungen, wie sie in dem anderen Richter existent würden,  “in ihrer wirklichen Lebendigkeit” zu werten. Dieser andere Richter sei ein empirischer Typus, daher sei dem Postulat der Rechtsbestimmtheit durch den Hinblick auf diesen “ein sicherer und bestimmbarer Inhalt gegeben, der zwar mit der Entwicklung der Praxis wechsele, aber deshalb nicht weniger klar” sei (S. 116).

Die Bedeutung der geistvollen Gedankengänge Sch.s kann nur verständlich sein bei der Vergegenwärtigung jener Bestrebungen, die man gemeinhin unter dem Sammelnamen “freirechtliche Forderungen” zu begreifen pflegt. Wie diese den Unwert der üblichen Interpretationsmethoden darzutun suchen für die Erkenntnis dessen, was Recht ist, wo das Gesetz schweigt, und wie der Richter in solchem Falle sprechen solle, so weist auch Sch. die tatsächliche Voraussetzung, ob es wohl gelänge eine Entscheidung auf das Gesetz zurückzuführen oder nicht, als ausschließliches Kriterium ihrer Richtigkeit zurück.

Es liegt hier der gemeinsame Ursprung von Sch.s Schrift mit dem Freirechtlerturn. Sch. aber kommt über diese unfruchtbare Kritik, welche die FreirechtIer in immer neuen Wendungen üben, weit hinaus. Er zerstört nicht nur, sondern er ist auch bestrebt aufzubauen. Er trennt sich in dem Augenblick von den Freirechtlern, in dem er mit seiner Behauptung hervortritt, sie fielen eigentlich genau in denselben Fehler, wie die von ihnen angefeindeten Dogmatiker, wenn sie richtige Interpretation und richtige Entscheidung einfach identifizierten (S. 29).

Die vielfache Berechtigung der Angriffe der FreirechtIer gegen die selbstgefällige Unfehlbarkeit, mit der sich die altererbten juristischen Interpretations methoden der Welt gaben, kann nun freilich ebensowenig verkannt werden, wie auf der anderen Seite Veranlassung zu der nicht selten zu beobachtenden Abkehr von den alten Betätigungsweisen zu bestehen scheint. Als unter den mit unerbittlicher Logik geführten Schlägen der FreirechtIer sich die “Lückenhaftigkeit” der Methoden, welche die “Lückenlosigkeit” des Gesetzes zu garantieren vermeinten, auftat, da zeigte sich teils Mutlosigkeit, die das Gewohnte widerstandslos aufzugeben bereit war, teils brach jener dogmatische Fanatismus hervor, der in seiner Ueberhebung über die Gesetze der Logik doch etwas altväterisch anmutet.

Beides freilich scheint des Juristen wenig würdig zu sein. Das einzige, was der moderne juristisch gebildete Mensch von der Summe der Freirechtspostulate denken darf, das hat auch hier Ludwig Mitteis dahin betont, dass die “heutige Zivilistik nicht den Vorwurf scholastischer Unfruchtbarkeit verdiene: ...dass wir aber auch der Stimme der freirechtlichen Kritik nicht unser Ohr verschliessen dürften ... Dass wir Manches zu bessern hätten, halte auch er für sicher.” (Deutsche Jur. Ztg. 1909 S. 1039 ff.)

Was Mitteis hier zum Wissen wird, ruht in der Einsicht, dass die Logik keine andere Aufgabe hat, als die Menschen über ihre jeweils zu beurteilende Tätigkeit zu orientieren. Bei der Neuheit der Beweisführung, die von einzelnen philosophisch durchgebildeten Freirechtlern gegen die Hermeneutik angetreten wurde, schien deren Kritik dem in solchen Gedankengängen ungewohnten juristischen Denken oft über den wirklich zwingenden Bereich Folge zu heischen. Das rein Formale der Kritik wurde nur selten in der ganzen Tragweite gewürdigt. Gibt man die Mangelhaftigkeit des von Menschen geschaffenen Werkes (gen. das geschriebene Recht) zu, so kommt auch der FreirechtIer dahin, unter den in Gemäßheit seiner Postulate erweiterten Normenkomplex zu subsumieren.
Kant-Studien, XI, 466

Freilich ist man in der Jurisprudenz noch immer weit davon entfernt, solche Lückenhaftigkeit des Gesetzes anzuerkennen. Man quält sich optima fide mit sinnlosen Fiktionen herum, während z. B. in Spanien das Bewusstsein von der Lückenhaftigkeit des Gesetzes bereits im Jahr 1889 in den Disposiciones adicionales des Código civil zum legislatorischen Prinzip erhoben worden ist (deficiencias y dudas que hayan encontrado al aplicar este Código).

Auf dieser Folie nun wird die Bedeutung von Sch.s Schrift klar. Sie ruht darin, dass Sch. nach dem Postulat der Rechtsbestimmtheit die verschiedenen subsumierenden Tätigkeiten in ein bestimmt gelagertes Verhältnis zu einander bringt. Er zeigt, welch hohen Wert subtil ausgearbeitete Arbeitsmethoden für die Garantierung der Rechtssicherheit haben, sofern sie nur allgemein anerkannt sind (S. 91).

In der Tat kommt es ja lediglich auf die Auswahl der Werte an, von denen aus der Dogmatiker seinen Gedankengang ablaufen lässt. Sind diese Werte allgemein anerkannt, so ist die Gewinnung gleichlautender Entscheidungen durch die verachteten alten Methoden in weitem Masse gewährleistet. Man kann dieses Resultat und damit die Bedeutung der Schrift Sch.s nicht genug aus der Darstellung herausheben. Sie folgt unmittelbar aus seiner Stellung zum Freirecht. Er bestreitet mit dem Freirecht die Eignung der üblichen Methoden zur absoluten Findung des Rechts und damit unmittelbar der richtigen Entscheidung - er bestreitet keineswegs deren Legitimation in gefeilter und mehr und mehr anerkannter Ausarbeitung eine der wesentlichsten Voraussetzungen richtiger Entscheidung zu sein. Denn richtige Entscheidung sei abhängig von richtiger Interpretation, sobald zu letzerer noch andere Momente hinzukämen. Richtige Interpretation wieder wird zumeist in jenen subtilen Methoden erreicht werden können. Sie werden zur realen Macht zur Erreichung der Rechtssicherheit (S. 91 trotz der gegensätzlichen und auch in sich selbst nicht sicheren Ausführungen S. 28). Der Umstand, dass diese feinsinnige Gedankenführung, welche über die einfache Kritik hinausgeht (obwohl sie sich deren Resultate z. B. durch Berufung auf Th. Sternberg restlos zu eigen macht), darf allen denen unter den Juristen, die sich der formalen Struktur der Logik nicht bewusst waren, von neuem zu denken geben.

Folgt man den Ausführungen Sch.s im einzelnen, so fällt schon rein äußerlich gesehen des Verfassers weitgehende Kenntnis der neuen Werke der rein philosophischen Literatur auf. Wer sehen muss, wie böse es damit in der Rechtsphilosophie bestellt ist, oder aber, wie man dort mit vornehmer Ahnungslosigkeit sogar die Geistesarbeit eines Kant in einigen wunderlichen Redewendungen endgültig vernichtet zu haben glaubt - der wird sicherlich für den Verfasser eingenommen, wenn er z. B. dessen genaue Kenntnis von Vaihingers “Als Ob” -Philosophie sieht (z. B. SS. 14, 27 und 37). Wird man doch auch in der Unterscheidung zwischen subjektiver Wertfindung einerseits und der Herstellung einer Relation zwischen den in den empirisch gegebenen Typen (Richter) allgemein anerkannten Werturteilen und dem Entscheidungsobjekt unschwer den Einfluss der an Kant orientierten wissenschaftlichen Philosophie erkennen.
Kant-Studien, XI, 467

Freilich gilt es anfangs, sich durch im Ton etwas fibelhaft gehaltene Ausführungen durchzuschlagen, bis man sich dem Genuss der Kenntnisnahme einer geschlossenen und dann mit liebenswürdiger Ironie gewürzten scharfsinnige Theorie hingeben kann. Doch scheint Sch. absichtlich das Problem in immer erneuten Wendungen herausgearbeitet zu haben. Er wendet sich an die Praxis. Wem die reiche Spezialisierung des Wissens fortschreitend nur das Bewusstsein bringt, welch geringen Ausschnitt aus dem Wissensmöglichen selbst der gesamte der Menschheit errungene Komplex des Wissens bedeutet, der wird freilich mit niemand (er habe denn die philosophische Betrachtung zur Lebensaufgabe gewählt) zu schrnählen geneigt sein, wenn sich dessen Bekanntschaft mit der Philosophie als etwas schadhaft erweisen sollte. Auch Sch. wendet sich so sicherlich nicht gegen das Nichtwissen selbst, sondern er will durch das jenen breiten Ausführungen immanente Unwerturteil wohl lediglich der vorschnellen Anmaßlichkeit des Urteilers wehren. Vielleicht aber wäre es für den Zweck, den Sch. sich gesetzt hat, besser gewesen, wenn er den normalen empirischen Typus auf etwas breiter Grundlage apostrophiert hätte. Denn der edle Ritter von der Mancha wird - wie er urteilend sein gedankendürres Sprüchlein tummelt - nicht allein unter den Adressaten von Sch.s Ausführungen erkannt werden (die objetkive Feststellung S. 297 Anm. dieser Zeitschrift über den Wiener Strafrechtslehrer Löffler).

Dem rein methodischen Zweck der Darstellung wird man es auch zu gut halten können, dass Sch. nicht überall den kulturphilosophischen Problemen, welche hier und dort an die Objekte seiner Forschung sich herandrängen, gerecht wird. So wird seine Kritik des Rufes nach Richterpersönlichkeiten durchaus nicht befriedigen. Denn die verschmähte voluntaristische Bewegung kann doch nur aus der grossen Reaktion des Individuums gegen jenen Nivellierungsprozess begriffen werden, den Windelband so unvergleichlich plastisch geschildert hat. Von den grossen Zusammenhängen, die hier wirklich sind, findet sich bei Sch. kein Wort.

Ob nun aber das Ziel, die Praxis zu leiten, erreicht werden kann? Diese Antwort muss von der Lösung der Kardinalfrage abhängig sein, ob gleicher Weise genügende Inhalte mit der Formel gegeben sind, und ob diese Inhalte hinreichend veränderungsfähig sind. Nur letzteres erscheint zweifelsfrei. Und treibt nicht das Postulat der Rechtsbestimmtheit letzten Endes wieder der Unterordnung unter eine der Entschließung zeitlich und logisch frühere Norm zu? Möchte doch Sch. seine bei S. 78 präzisierten Argumente in immer neuen Gedanken stützen, denn hier liegt der Schlüssel seiner ganzen so überaus bedeutsamen wissenschaftlichen Stellungnahme.

Leipzig
Felix Holldack
Top .

03 giugno 2015

Indice analitico delle opere di Carl Schmitt, redatto sugli originali in lingua tedesca. Lettera B -

Lettera A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z.
Elenco titoli indicizzati
Bibliografia delle opere tedesche di Carl Schmitt
Status: (Bp14/125) 1.4 / 1.7.2015 - Bottom.

B

 be - bo - br - bu -
Top ↔ Bottom.

Begrenzung: Bp 11, 12, 18, 19;
Berufsjuristen: Bp 12;
Berufsrevolutionäre: Bp 12, 117;
Berufsverbänden: Bp 41;
Bodin: Bp 10, 32;
Brunner, Otto: Bp 9, 14, 117;
Land und Herrschaft: Bp 9, 14, 117;
Bündnispolitik: Bp 46; 
Bruderkrieg: Bp 10;
Brunner, Otto (1898-1982): Bp 9, 14; Ne 49nt1;
Bürgerkrieg: Bp 10, 29, 32, 33, 38, 42, 43, 46, 47, 53, 54, 116, 118, 120, 121, 122;
Bundesstaat: Bp 53; 
Top.

Indice analitico delle opere di Carl Schmitt, redatto sugli originali in lingua tedesca. Lettera C -

Lettera A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z.
Elenco titoli indicizzati
Bibliografia delle opere tedesche di Carl Schmitt
Status: 1.1 / 18.6.2015 - Bottom.


C

 ch -
Top ↔ Bottom.


Challenge: Bp 12;

Top.

Indice analitico delle opere di Carl Schmitt, redatto sugli originali in lingua tedesca. Lettera D -

Lettera A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z.
Elenco titoli indicizzati
Bibliografia delle opere tedesche di Carl Schmitt
Status: (Bp13) 1.2 / 18.6.2015 - Bottom.


D

 da - de- du -
Top ↔ Bottom.

Darlegung: Bp 13, 20, 51, 88, 120;
Deutschland: Bp 13, 21, 24, 25, 31, 56, 62, 65, 73, 117, 119;
Duelkriege: Bp 102;
Top.

Indice analitico delle opere di Carl Schmitt, redatto sugli originali in lingua tedesca. Lettera E -

Lettera A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z.
Elenco titoli indicizzati
Bibliografia delle opere tedesche di Carl Schmitt
Status: (Bp13/125) 1.4 / 25.6.2015 - Bottom.

E

 ei -en - ep - er -
TopBottom.

1ª ed. 1927; ult. 1963
Einheit: Bp 10, 11, 14, 30, 32, 33, 37-48, 54-56, 58, 63, 70, 71, 101, 114, 117, 119, 120, 121, 123; Tt: 52;
– bestimmende: Bp 43;
– kirchliche: Bp 10;
– letzliche: Bp 119;
– maßgebende: Bp 39, 43, 44, 45;
– neutrale: Bp 10;
– ökonomisch-technische: Bp 71;
– organisierte: Bp 33;
– politische: Bp 10, 11, 14, 30, 32, 33, 37-41, 43-48, 54-56, 58, 63, 70, 114, 117, 120, 121, 123; Tt: 52, 62;
– souveräne: Bp 41, 43;
– – des Staates: Bp 41;
– soziale: Bp 42, 43, 58;
– technische: Bp 14;
– unpolitische: Bp 58;
– verkehrtechnische : Bp 58;
– Völkereinheit: Bp 32;
– von König und Volk: Tt 52;
– von Ordnung und Ort: Tt 72;
– wirtschaftliche: Bp 14, 58;
Einheit der Welt: Bp 14; Tt 62;
Entscheidung: Bp 10, 13, 21, 23, 30, 32, 34, 35, 39, 40, 43, 45, 46, 48, 53, 60, 87, 90, 91, 97, 100, 101, 111;
– administrativen: Bp 21;
– juristischen: Bp 21;
– Freund-Feindentscheidung: Bp 30, 48;
– geistige: Bp 90;
– Lebensentscheidungen: Bp 60;
– menschliche: Bp 90:
– politischen: Bp 10, 32, 34, 53, 97, 100;
– sachliche: Bp 111;
– staatliche: Bp 101;
– über den maßgebenden Fall: Bp 39, 43;
Epoche: Bp 10, 14, 15, 16, 17, 82, 83, 84, 114, 115;
Erde: Bp 13, 17, 28, 35, 54, 56, 58, 73, 77, 114, 117, 120;

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