18 aprile 2009

Si è spento Giano Accame.


La prima notizia mi è neppure 24 ore dopo quella della morte di Franco Volpi, sempre dalla stessa fonte, da Carlo Lo Re. Il colpo è stato molto più duro. Mentre con Franco Volpi avevo rari contatti telefonici, sempre cordiali, di Giano avevo una frequentazione trentennale periodicamente rinnovata in occasioni varie, anche andandolo a trovare a casa, dove le ultime volte andai a ritirare collezioni di riviste tedesche, che aveva deciso di regalarmi. Fra queste anche Criticón, dove si trovavavano gli originali di articoli di Piet Tommissen e Günther Krauss, da me tradotti in italiano e resi disponibili in questo blog sia nel testo tedesco che nella mia tradizione italiana. Giano Accame andò a trovare Carl Schmitt nel 1954, quando io avevo quattro anni e non avevo certo sentito mai parlare di Schmitt. Per questo autore Giano ebbe sempre interesse ed attenzione e fu nel suo nome che intorno al 1980 nacque la nostra amicizia. Come già per Volpi, questa non è e non vuole essere un necrologia. Mi sto lasciando andare sull’onda dei ricordi, poco prima di uscire di casa per andare a Santa Maria della Consolazione, la chiesa nei pressi del Campidoglio, dove alle 10.30 inizierà la funzione religiosa.

In questi giorni si è tentato di tracciare un quadro della figura di Giano Accame. Di certo sarà utile uno studio su Giano che dia le date della sua vita, i titoli dei suoi libri, la sua attività di giornalista, il suo impegno politico, e così via. Ma gli amici possono attingere ai ricordi diretti dell’uomo ed alla sua parola viva. Per me Giano era una miniera di informazioni e di giudizi su uomini ed eventi. Anche negli ultimi anni era cresciuto il rispetto verso come il più ragguardevole intellettuale della destra italiana, l’uomo è stato non poco contrastato e mi vengono in mente alcuni episodi, cui non voglio adesso accennare nel momento della morte e e mentre mi accingo ad uscire di casa per rendere l’estremo saluto all’amico scomparso. Dopo la funzione, partirà per il suo ultimo viaggio, in Luano, il suo paese ligure, dove era nato e dove trascorreva l’estate, come io la trascorrevo al mio paese, nell’estrema Calabria. Da qui gli portavo bottiglie di Grappa che lui da intenditore gradiva. Non pensai mai di fargli una visita in Liguria, ma penso che adesso in Liguria ci andrò ogni tanto per soffermarmi in raccoglimento sulla sua tomba, come mi è capitato di recente con Aldo Moro, altra figura per me indimenticabile.

Torno adesso dalla cerimonia funebre e non voglio indugiare a scrivere alcune righe nell’immediatezza del momento. Dopo, con la riflessione, non saranno più le stesse. Un amico che ho incontrato mi ha molto garbatamente ed impercettibilmente fatto notare la mai propensione alla polemica. Si parlava di Fini, un politico che mi deluso, come del resto anche Alemanno. Io, lui ed altri ci siamo ritrovato per dare l’estremo saluto ad una persona che ci era cara, anche se diversamente cara. Finché l’amico Giano era vivo, non avevo mai pensato a lui come ad una persona che si dovesse studiare, come a scuola. Ed invece adesso penso che in qualche modo mi devo riappropriare di tutti aspetti e momenti della complessa personalità di Giano, che non avevo mai curato. Era presente il “primo cittadino”, cioè il Sindaco Gianni Alemanno che ha parlato tracciando un profilo politico e dando una sua valutazione della posizione politica dell’«intellettuale» scomparso, punto di riferimento di tutta la destra italiana. La mia amicizia con Giano si è sempre mantenuta nell’alveo degli interessi schimittiani. Fui io che feci incontrare in un ristorante calabrese Giano con Giacomo Marramao. Entrambi desideravano da tempo fare conoscenza. Nell’ambito della politica della destra Accame è stato sempre qualcosa di controverso, ovvero fonte di dibattito. E sembra che lo sia ancora. Al termine della cerimonia, mentre la bara lasciava la chiesa, per scendere la gradinata, un folto numero di persona lo ha salutato con il saluto fascista al grido di “Camerati!”. Anche questo era Giano, che non ha mai rinnegato la sua adesione, a 17 anni, alla Repubblica Sociale Italiana, che per lui era l’Italia rimasta dopo la disfatta, l’onore da conservare e difendere. Ma questo è un discorso. È il lascito che sento di ricevere da Giano. Adesso che lui non è più fra noi è un pietoso e doveroso onere da parte degli amici ricostruirne tutto il percorso della sua vita, dei suoi scritti, delle sue “posizioni”, dei suoi “concetti”.

16 aprile 2009

Una perdita per la cultura italiana: la morte di Franco Volpi


La notizia mi è giunta ieri, per posta elettronica, da Carlo Lo Re. Non ci volevo credere, speravo si trattasse di un’omonimia e non del Franco Volpi che conoscevo, ma poi andando al leggere l’intero testo del blog di Lo Re e vedendo anche la foto ho dovuto convincermi che si trattava proprio di Franco. Non posso dire di avere avuto con lui una grande frequentazione e questo non è e non vuole essere un necrologio. Avevo conosciuto Franco Volpi in Germania ad una serie di Seminari organizzati dall’Istituto filosofico marottiano. Leggo che era nato nel 1952, due anni più giovane di me, dunque, ma era nel frattempo passato a ordinario di storia della filosofia. Non ho mai avuto nessunissima invidia per la carriera che lui e altri amici nel frattempo hanno fatto, mentre io sono rimasto al palo: ben meritata! Soprattutto, non per questo cambiavano i nostri personali rapporti. Fuori dai seminari tedeschi non ricordo di averlo mai incontrato, lui abitava a Padova ed io a Roma. Non capitava perciò di incontrarsi per strada, per fare una passeggiata insieme, come mi accadeva spesso con Antimo Negri, con il quale lungo il viale Regina Margherita facevamo esercizio di maldicenza su tutta la cultura italiana. Non si risparmiava nessuno e dopo ci sentivamo meglio. Scherzi a parte, ho un caro, carissimo ricordo di Franco Volpi, la cui voce al telefono conservava sempre la stessa freschezza e disponibilità della prima volta che ci conoscemmo. Lui lavorava con Adelphi io con Giuffrè. Si era anche prestato per dare copertura giornalistica al convegno che io avevo organizzato in Roma su Carl Schmitt. Ci sentivamo, in genere, per risolvere pasticci editoriali e da lui apprendevo di cose che non divulgavo e che potevano ben andare in una rubrica una volta esistente su L’Espresso: I segreti degli editori. Non so se esiste ancora questa rubrica, perché non leggo più da parecchi anni L’Espresso. Ma alcuni di questi segreti andrebbero raccontati anche per iscritto e non solo a voce, come faccio con gli amici fidati. Negli ultimi tempi lo avevo cercato con insistenza al numero di telefono che avevo, lo stesso che altri pure avevano. Non rispondeva nessuno ed avevo supposto o che avesse cambiato casa o che il numero non fosse più quello.

Il pasticcio ultimo era la contemporanea uscita, quasi nello stesso giorno, della “Tirannia dei valori” in edizione Adelphi e in edizione Morcelliana con lieve e concorrenziale differenza di prezzo di copertina. Dopo la morte del prof. Kaiser la gestione dei diritti di Schmitt ed il piano di edizioni versa nel più completo caos ed io non so a quale interlocutore potermi rivolgere. Risponde una signora alla quale le mie ultime parole sono state: Ich bin mude. Contavo di risolvere il problema non solo della “Tirannia dei valori”, ma altri in corso se avessi potuto parlare con Franco, come già altre volte. Rimandavo ogni volta all’occasione in cui lo avessi incontrato o qualcuno avesse potuto darmi un nuovo e diverso recapito. Giunge però a tradimento la morte prematura. Non la malattia ci ha tolto Franco Volpi, ma – spero di non sembrare irriverente – “mentre passeggiava in bici”, secondo quanto leggo da Carlo Lo Re. Non ci si riesce mai ad abituare all’idea della morte di una persona cara, dei genitori, di un parente, di un amico. Non essendo noi eterni in una serie di casi ci si deve tuttavia rassegnare, ma in altri non si accetta il fatto ineluttabile della perdita. È il caso di Franco Volpi, di cui non ricordo se una volta vidi appena la moglie. Non conosco nessuno dei suoi familiari a cui far giungere le mie condoglianze. Ripeto: questo non è un necrologio. Esprimo, in questo inizio di giornata, il mio rimpianto per l’amico perso. Più tardi andrò a fare lezione, iniziando dopo Pasqua la parte del corso dedicata quest’anno alla Tirannia dei valori. Inizierò parlando agli studenti di Franco Volpi, ricordandone la figura per come io l’ho conosciuta e soprattutto ricordando la gentilezza dell’uomo, la grande cultura, la disponibilità costante e spontanea, l’amabilità, la signorilità.