14 ottobre 2019

TK: resensione a Kervègan.


Jean-François Kervégan Che fare di Carl Schmitt? Ed. Laterza, Bari 2016, pp. 235, € 24,00
La frase che sintetizza questo saggio è come “pensare con Schmitt contro Schmitt”. La contraddizione che ne emerge è quella consueta: tra un pensiero tuttora fecondo e in grado di spiegare – almeno in parte – il nostro presente politico e l’adesione del giurista di Plettemberg al nazismo che lo rende maledetto al “pensiero unico”.
Contraddizione particolarmente avvertita in Italia e in Francia.
In Italia il pensatore tedesco era stato “cancellato” prima della renaissance avviata dalla pubblicazione nel 1972 a cura di Miglio e Schiera della silloge dei suoi scritti “Le categorie del politico” seguita nei decenni successivi dalla traduzione e pubblicazione di (quasi) tutti gli scritti di Schmitt. Di guisa che nel “coccodrillo” di Maschke pubblicato da Deer Staat dopo la morte di Schmitt, si ascriveva all’Italia il merito di aver svolto la parte più importante nel recupero del pensiero schmittiano – spesso ad opera di studiosi marxisti.
Valutazione che l’autore condivide “Non è azzardato affermare che in Italia, a partire dagli anni Settanta, sono stati pubblicati alcuni dei migliori contributi alla letteratura critica su Carl Schmitt”. Kervégan sostiene che “Se esiste un «caso Schmitt» è proprio perché questo autore, insieme alle sue divagazioni naziste, ha scritto opere che sono da annoverare tra le più importanti e potenti della teoria giuridica e politica del XX secolo”. E ciò che rende la sua opera utilizzabile “in modo perverso” per legittimare l’aggressività nazista è ciò che la fa spesso interessante e fertile “Non ci sono due Carl Schmitt, il buono e il cattivo Schmitt, ma c’è uno spirito brillante che si è sforzato, con la stessa agilità intellettuale, di rilevare le contraddizioni del pensiero liberal-democratico e di giustificare la politica di Hitler”. E soprattutto la fecondità e l’attualità di molte intuizioni di Schmitt, spesso in grado di spiegarne cause e dinamiche.
Tra questi ne ricordiamo tre.
La prima è la situazione del mondo dopo il crollo del comunismo.
Scrive Kérvegan “Tra il 1991 e il 2001 si è voluto – e fino a un certo punto si è potuto – credere che l’umanità vivesse finalmente in un mondo comune, unificato dalle medesime aspirazioni e scelte fondamentali. L’autore di La fine della storia e l’ultimo uomo, Francis Fukuyama è stato il corifeo di questa convinzione …. scomparsi i concorrenti (fascismo, comunismo), non c’è più che un solo paradigma di vita buona: quello offerto dalla democrazia occidentale (o più esattamente nordamericana)” ma gli attentati dell’11 settembre hanno posto fine a queste speranze passeggere e ci hanno messi dinanzi al fatto che la morte di un nemico non comporta la scomparsa dell’ostilità; e dobbiamo ricordarcene ancor più dopo l’eliminazione di Bin Laden”. Schmitt già negli anni ’30 notava che con il concetto di guerra giusta, e la moralizzazione del nemico, si andava di pari passo verso la tendenza contemporanea alla “moralizzazione delle questioni giuridiche (e) alla destabilizzazione delle relazioni internazionali. Il deperimento dello Stato come justus hostis, titolare esclusivo dello Jus belli e del pari del principio internazionalistico par in parem non habet jurisdictionem, sono ora tutti nella concezione globalista-mercatista (e imperialista) della universalità dei diritti umani, della criminalizzazione di governi recalcitranti e relative operazioni di “polizia internazionale”. Agli albori di questa evoluzione Schmitt contrapponeva il concetto di grossraum, di grandi aree geopolitiche in cui l’egemonia di una potenza manteneva – nello spazio planetario – il pluralismo anche se non nella forma dello jus publicum europaeum. Che questa sia poi la configurazione che sta assumendo il pianeta è evidente: l’idea di un universalismo incentrato sull’egemonia USA è venuta meno; non foss’altro (basta e avanza) perché Cina e Russia non sono d’accordo, ma anche l’India e non pochi altri Stati.
Il secondo è la brillante analisi di Schmitt sulla successione, nello spirito europeo, di zone centrali “zentragebiet” di riferimento spirituale, che comporta corrispondenti discriminanti dell’amico-nemico.
Anche qui il diffondersi nell’area euroamericana una nuova scriminante del politico, segnata dalla crescita di leader e movimenti populisti anti-globalisti, dopo il venir meno della vecchia contrapposizione borghesia/proletariato, conferma la tesi di Schmitt, sulla neutralizzazione delle vecchie scriminanti e la (ri)-politicizzazione con le nuove. Neutralizzata la scriminante borghesia/proletariato, è succeduta la nuova identità/globalizzazione.
Il terzo punto è il rapporto tra politico e diritto. La tendenza a neutralizzare il diritto, basata sulla separazione tra momento fondativo (sicuramente politico) che viene dai normativisti occultato nella successiva situazione di normalità dell’ordine costituito. Così il normativismo “concepisce la Costituzione come un ordine in sé chiuso, avendo la pretesa di ignorare quanto essa dipenda non dal diritto ma dalla politica”. Di conseguenza l’elisione positivistica dell’atto costituente “è insostenibile sotto ogni punto di vista: la Costituzione non è «nata da se stessa», contrariamente a quanto le finzioni normativistiche fanno credere”. Un normativista crede “in modo ingenuo che una decisione maggioritaria del Parlamento basti a trasformare l’Inghilterra in una Repubblica dei Soviet, il decisionista ritiene che solo un atto politico del potere costituente … può abrogare o modificare le decisioni politiche fondamentali che formano la sostanza della Costituzione. Onde “nessun atto che emani da un potere costituito (da un organo costituzionale) potrebbe modificarla, a meno che non si verifichi una rivoluzione che implichi la distruzione dell’ordine costituzionale esistente”. La connessione stretta tra politico e diritto impedisce o almeno ridimensiona gli idola diffusisi nel secolo scorso, che proprio sulla elisione/sottovalutazione del politico si fondano: l’esaltazione del ruolo dei Tribunali internazionali con competenze di carattere penale e civile; la “sacralizzazione” dell’articolato costituzionale, che dall’elisione del potere costituente guadagna in staticità (giustamente Hauriou criticava Kelsen perché la di esso concezione  del diritto era essenzialmente statica); la crescita dell’importanza delle Corti Costituzionali divenute  – attraverso  meccanismi interpretativi ed anche per le antinomie normative - le uniche competenti a “aggiornare” la Costituzione.
Tali esempi, tra altri, dimostrano le fecondità del pensiero di Schmitt per interpretare il presente, che Kervégan sottolinea pur con l’avvertenza del “cattivo uso” che se ne può fare, soprattutto da parte di un potere totale. Per chi, come oggi, vive la fase estrema di un potere di classi dirigenti decadenti non può far altro che adattare a Schmitt l’omaggio che questi faceva a Hobbes nel concludere il saggio sul Leviathan “non jam frustra doces, Carl Schmitt”.
Teodoro Klitsche de la Grange

22 febbraio 2018

Conferenza in Genova: «Carl Schmitt. L’amico e il nemico: la teoria del partigiano”.»

Riceviamo

e volentieri diamo notizia dell’evento indicato in Locandina, con annessa didascalia e indicazioni ulteriori.




Cari/e amici/he,

Vi ricordiamo che il giorno SABATO 24 FEBBRAIO p.v., ALLE ORE 16.30, presso i nostri locali siti a Genova, in Corso Buenos Aires n. 21 int. D, sc. D, si terrà la conferenza sul tema: "CARL SCHMITT. L’AMICO E IL NEMICO: LA TEORIA DEL PARTIGIANO".
Relatore: ROBERTO PECCHIOLI
Introduce: ATTILIO CUCCHI
«Unendo il rigore del giurista alla penetrazione del filosofo, Schmitt delinea in questo libro i tratti distintivi del combattente "irregolare", ossia di colui che si è posto al di fuori dell'inimicizia convenzionale della guerra controllata e circoscritta tra Stato e Stato per trasferirsi in un'altra dimensione, quella dell'annientamento. Muovendo dai progenitori spagnoli che combattevano contro l'invasore francese al tempo di Napoleone, l'autore illustra l'evoluzione del "guerrigliero", passando per i rivoluzionari di professione di Lenin, i partigiani della seconda guerra mondiale, i terroristi algerini, i guerriglieri vietnamiti ecc.»

In allegato la locandina dell'evento.

Vi aspettiamo!

Associazione culturale "Il Ramo d'Oro"


02 dicembre 2017

Ernst Hüsmert: mi giunge la notizia della sua morte.

La morte di Ernst Hüsmert è avvenuta il 30 novembre di questo anno corrente 2017. È rimasto sempre vivido il ricordo dell'amicizia, ma ne avevo perso i contatti. Ero divenuto sordo e non era possibile telefonargli. Molto avrei da dire e raccontare, almeno le fasi della nostra conoscenza ed amicizia. Ma per adesso non posso fare che dichiarare il mio cordoglio per la morte e esprimere le condoglianze ai familiari con i quali neppure ho contatti: come la rete mi ha portato la notizia della sua morte, ancora la rete registri il mio cordoglio per la scomparso del caro amico, del quale allego una dedica a me fatto sul volume da lui curato delle lettere giovanili di Carl Schmitt alla sorella Auguste. In particolare, ricordo episodi della vita di Carl Schmitt a me narrati da Ernst, che era uomo di grande convivialità, quando io lo avevo conosciuto.

11 giugno 2017

Le “settimane politiche” da Weimar al Terzo Reich nelle cronache del “Ring”: II. Jahrgang, Heft 10, Berlin, 10. März 1929.

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Il settimanale Der Ring, con sottotitolo modificato nel tempo, uscì a Berlino dal 1928 al 1943. Non possediamo la collezione completa della rivista tedesca, ma solo fascicoli sparsi e le biblioteche italiane non comprendono nelle loro raccolte questo periodico. Per una conoscenza degli eventi politici come venivano percepiti in Germania dai contemporanei riteniamo utile, per i fascicoli da noi via via posseduti, ripubblicare la rubrica sulla “settimana politica”, annotando per quanto ci sarà possibile personaggi ed eventi. Se troveremo il tempo, ne faremo anche la traduzione italiana.

Settimana
dal 3 al 9 marzo 1929

Gustav Stresemann
 (1878-1929)
• Stresemann verlangt in seiner Minderheintenrede in Genf die Einsetzung einer besonderen Minderheiten-Studienkommission.

– Der Reichsrat billigt den Reichshaushalt im wesentlichen in der vom Reichsfinanzminister Hilferding eingebrachten Form.

– Der Preußische Landag nimmt mit 208 Stimmen der Regierungsparteien das Flaggengesetz an, das die Beflaggung aller öffentlichen Gebäude - auch der Selbstverwaltung - mit den Farben Schwarz-Rot-Gold gesetzlich verankert.


Mahatma Gandhi
(1869-1948)
• In polnischen Senat lehnen sämtliche Minderheitengruppen in der Plenarsitzung das Budget mit dem Hinweis auf die Minderheitenpolitik der Regierung ab.

– In Kalkutta demonstrieren Anhänger des Nationalistenführers Gandhi, der den vollen Boykott ausländischer Stoffe verlangt und nach seiner Rede verhaftet wird.

– Der Allchinesische Kongress tritt in Shangai zusammen und verlangt nach scharfer Debatte gegen die Vertagspolitik Nankings alle militarischen und sonstigen Vorbereitungen für eine Kriegserklärung an Japan.

• Bei Uebernahme der Geschäfte durch den Präsidenten Hoover im Weißen  Haufen wird mitgeteilt, daß die amerikanische Regierung die bisherige Politik gegenüber Mexiko beizubehalten, also den seit fünf Jahren bestehenden Waffenembargo nicht aufzuheben gedenke.

– Der Kriegsminister Halles mobilisiert alle Regierungstruppen, um dem konzentrischen Borstosz der Aufständischen gegen die Haupstadt zu gegegnen.

– In Tokio wird der Arbeiterabgeordnete Damanoko von einem politischen Gegner ermordet.
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29 maggio 2017

Dalla Neue Badische Landes-Zeitung, ripreso dalla Neue Zeitung del partito comunista: «Ein Pöstchen für Goebbels?»

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Anche questo trafiletto lo si trova  nella Rehse Sammlung e nella sua brevità pare piuttosto interessante, considerando soprattutto la data: il 24 febbraio 1933. L’articolo tutto virgolettato è una citazione testuale dalla Neue Badische Landes-Zeitung, che uscì in Mannheim dal 1866 al 1934 ed era espressione di un liberalismo di sinistra. La si trova nella Neue Zeitung del partito comunista tedesco (KPD), che uscì a Monaco fino all’agosto del 1934. Tra i biografi di Carl Schmitt a fare menzione di questo documento è Andreas Koenen.

* * *

ANONIMO
Ein Pöstchen für Goebbels?

Die “Neue Badische Lande-Zeitung” teilt mit:

Neue Zeitung (KPD), 24 Feb. 1933
«Trommeln gehört zum Handwerk.  Und der Staatsrechtleher oder vielmehr Staatsnotstandslehrer Prof. Carl Schmitt beeilt sich, in der letzen Nummer der “Europäischer Revue”* dem Nachweis zu führen, daß kein Staat es sich leisten könne, die Mittel der Massenbeeinflussung anderen zu überlassen. Er müsse die kollektive Meinung bilden, indem er Rundfunk, Film und alle anderen Mittel zur Massenbeeinflussung unter seine Kontrolle stelle. Diesem Rat des Rechtslehrers, der bisher noch jede Auslegung der Verfassung verteidigt hat, wird die Reichsregierung, wenn wir recht interrichtet …, nicht lange widerstehen. Es soll ein Staatssekretariat fuur öffentliche Meinung im Entstehen sei, das dem Propagandaleiter der NSDAP, Dr. Goebbels, vorbehalten sein soll. Der Zeitpunkt des Errichtens soll noch nicht feststehen. Über was werden wir erst für eine Geschichtsklitterung erfahren, wenn Rundfunk, Theater und Film in diese hand vereinigt sind?».

NOTE

* Deve trattarsi di:
Weiterentwicklung des totalen Staats in Deutschland, in: Europäische Revue, 1933, 9. Jahrg., Heft 2, S. 65-70.

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28 maggio 2017

Anonimo di Abend Blatt: su “Herr Carl Schmitt…”

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Non incluso nella Bibliografia di Tommissen si trova però nella Rehse Sammlung un trafiletto senza titolo, che ci sembra utile trascrivere e riportare,  nel tentativo di ricostruire il clima degli anni 1932-36 entro i quali si consumò l'adesione di Carl Schmitt al nazionalsocialismo ma anche la sua espulsione fra il dicembre 1936 e il gennaio 1937. Apparve su 8 Uhr Abend Blatt, Nr. 245, del 18. Oktober 1932, secondo l’indicazione che si trova in Rehse. Sono evidenti ed espliciti i richiami ai dibattimenti in corso nel processo Preussen contra Reich che si svolgevano in Leipzig.

* * *

8 Uhr Abend Blatt,


Herr Carl Schmitt gehört zu jenen Professoren, die so lange emporgelobt werden, bis sie jedes Maß für ihre eigene Person und die Leistung anderer verlieren. Leider hat man seine vagen staatsrechtlichen Theorie allzu lange tragisch genommen, statt sie als das anzusprangern, was sie in Wahrheit sind: die völlige Auflösung aller überkommenen Rechtsbegriffe. Schmitt hat nun gestern – offenbar durch die üble Position seiner Prozeßpartei nervös geworden – vor dem Staatsgerichtshof ein Plaidoyer gehalten, das man seinem Avvokaten in Itzehoe o Vorrach durchgehen lassen würde. Er hat die Verwegenheit besessen, auf das Kabinett Braun das Bild vom Bock als Gärtner anzuwenden anzuwenden, und er hat die Minister als “Agenten und Bedienstete" von Parteien angeprangert. Ein Mann wie er kann schwerlich Otto Braun, Severing und die anderen mitglieder der Preussenregierung beleidigen, und deshalb hätte es der – freilich wohlverdienten – schrossen zurechtweisung durch den Präsidenten Bunke nicht erst bedurft. Aber darüber hinaus muß doch noch ein Wort an jene Lokalpatrioten gerichtet werden, die auf diese Zierde der Berliner Handelshochschule besonders stolz sind. Wir begreisen diese Begeisterung nicht. Denn Herr Schmitt ist als Erbe des Lehrstuhls, den die beiden begeisterten Vorkämpfer des Rechtsstaats, Hugo Preuß und Walther Schüding, über Deutschlands grenzen hinaus berümht gemacht haben, doch selber nicht viel anders zu kennzeichnen als durch die Komplimente, die er dem Preußenkabinett machte.
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24 maggio 2017

Anonimo berlinese: Der allmächtige Staat. Ein Referat Prof. Schmitts vor dem Langnam-Verein.

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 - Berliner Tageblatt -
Il giovedi 24 novembre 1932, nel Berliner Tageblatt und Handels-Zeitung, al suo 61. Jahrgang, Nr. 557, esce a firma anonima, un articolo con titolo: Der allmächtige Staat. Ein Referat Prof. Schmitts vor dem Langnam-Verein. Il “Berliner Tageblatt” fu pubblicato a Berlino dal 1872 al 1939. All’epoca era “editore capo” Theodor Wolff, dal 1906 al 1933. L’articolo è compreso nella Rehse Sammlung, che comprende un fascicolo su Carl Schmitt con 21 articoli di giornale dal 1932 al 1934. Notizie sul convegno della Langname-Verein e sui suoi partecipanti, in particolare l’organizzatore e presidente Fritz Springorum (1886-1942), possono ricavarsi da un articolo, del 2009, piuttosto polemico, di Jean-Pierre Faye. Ma il suo nome si trova menzionato nei Tagebücher di Schmitt alla data del 23 novembre 1932, ed ancora il 23 gennaio del 1933. Interessante in un Paralleltagebuch del 27.11.32, in Düsseldorf, la seguente frase: «Freute mich, dass Fritz Springorum mir sagte: Brüning ist ein kleiner, abhängiger, hinterlistiger Sauerländer». Springorum era un facoltoso industriale che finanziava attività culturali e politiche, fra cui anche il movimento e il settimanale “Der Ring”, come si legge presso i Biografi di Schmitt.

* * *

Der allmächtigte Staat.
Ein Referat Prof. Schmitts vor dem Langnam-Verein.

Dem Staatsrechtslehrer Prof. Carl Schmitt scheint der Ausflug in die Politik, den er als wissenschaftlicher Berater der Reichsregierung bei dem Prozess zwischen Preussen und dem Reich vor dem Staatsgerichtshof unternommen hat, so gut gefallen zu haben, dass er sich weiterhin lieber auf dem Gebiete der aktuellen Politik als auf dem der Staatsrechtswissenschaft bewegt. Zwefellos ist Professor Schmitt einer der besten Redner, über die die deutschen Hochschulen verfügten, ein Redner, der bestechen und fesseln kann, und dem man auch dann mit Vergnügen zuhöhrt, wenn er zum Widerspruch herausfordert. Aber es ist beaduerlich, dass prof. Schmitt diese Fähigkeit neuerdings so gern auf dem Gebiet der Tagespolitik betätigt.

Theodor Wolff  (1868-1943)
Professor Schmitt hat sich auf Grund seiner Erlebnisse im Leipziger Prozess eine Theorie über  das heutige Staatsleben in Deutschland zururechtgelegt, die er nun bei jeder Gelegenheit der Oeffentlichkeit unterbreiten zu müssen meint. Gestern wieder prach er – in einem von uns schon kurz erwähnten Referat vor der Mitgliederversammlung des Langnam-Vereins – von “dem machtunfähigen und zugleich:

machtzerstörenden Parteiensystem

und dem Staat der totalen Schwäche, was – nach seiner Ansicht – das Ergebnis der parlamentarischen demokratie in Deutschland sei. Das ist die Fortsetzung der Attacke, die Professor Schmitt schon in Leipzig geritten hat und die zu der grotesken Feststellung, dass jede Partei, besonders aber die sozialdemokratische, eine Gefährdung der Staatssicherheit darstelle. In seinem gestrigen Referat kam er zu dieser Feststellung auch wieder vom Leipziger Urteil her, das er offenbar als eine so schwere Niederlage der Reichsregierung empfindet, dass er am liebsten die ganze Staatsgerichtsbarkeit beseitigen möchte. Den – wie er sich ausdrückte –: “Preussenschlag vom 20. Juli” bezeichnet er als “Aktivum”, das die “schlimmsten Fehlkonstruktionen der Weimarer Verfassung, den Dualismus von Reich und Preussen korrigiert und damit eine Quelle schlimmster Gefahren für die politische Einheit unschädlich gemacht” habe. “Allerdings”, so fuhr er fort, “habe sich im Anschluss an diesen Vorgang klar eine neue Gefahr gezeigt, die bisher vielleicht nicht genügend zum Bewusstsein gekommen sei. Die Möglichkeit vom Staatsgerichtshofprozessen gegen das Deutsche Reich ind die Gefahr einer justizförmlichen Politik, an deren Methoden der deutsche Staat in den Zeiten des Reichskammergerichts bereits einmal zugrunde gegangen sei.

Es wäre wohl die schlimmste Zeit von Reaktion,
 wenn wir jetzt in eine Epoche weiterer Leipziger Prozesse hineingeraten sollten.

Wir meinen, dass selbst das Gefühl, unterlegen zu sein, einen Staatsrechtslehrer nicht zu einer solchen Ablehnung jenes höchsten deutschen Gerichts verleiten dürfte, dessen Aufgabe es ist, letzter Hüter der Verfassung zu sein. Dagegen kann man Herrn Professor Schmitt vollkommen zustimmen, wenn er die

Wiederherstellung eines von aller Parteipolitik freien Beamtentums

fordert, das vor allem erkenne, in welchem Masse wohlerworbene Beamtenrechte und Zugehörigkeit zu einer politischen Partei innerlich miteinander vereinbar seien. Bemerkenswert ist auch, dass es Professor Schmitt als “sehr fraglich” bezeichnete, ob die heutige Zeit den Beruf zur Verfassungsgesetgebung habe. Schwer hingehen ist zu verstehen, was er mit folgendem Vorschlag meint: man dürfe glauben, dass die Handlungs- und Arbeitsmöglichkeiten einer zum Handeln und zur Arbeit entschlossenen Regierung heute so stark seien, dass sie in einem Bündnis mit den unmittelbaren sozialen Kräften des deutschen Volkes die notwendige Arbeit zu neuen Verfassungseinrichtungen verschaffe. In zahlreichen Organisationen hätten sich die soziale Kräfte bereits schon organisiert und die grosse Fähigkeit und Produktivität des deutschen Volkes zur sozialen Formung auch in diesen schwierigen Zeiten bewiesen. Es bedürfe nur des Anrufes dieser Kraft durch einen starken Staat, um den heutigen Zustand der Schwäche und Zerrissenheit zu überwinden.

Was sich Professor Schmitt bei diesen Sätzen vorstellt, ist schwer zu ergründen, und nur eines klingt immer wieder durch: die Forderung nach einer gegen die Parteien gerichteten unumschränken Vollmacht des “Staates”, und dass heisst wohl der jetzigen Regierung, einer Allmacht, die auch durch Urteile des Staatsgerichtshofs nicht eingeschränkt werden darf. Es wäre interessant, von Professor Schmitt zu erfahren, wie er sich diesen Zustand vereinbar mit der heutigen Reichsverfassung denkt, die nun einmale “das Volk” zur Trägerin der Staatsgemacht hat.

*

Fritz Springorum (ca 1938)
Die Forderungen und Wünsche, die in den Vorträgen von Dr. Springorum und Professor Schmitt auf der gestrigen Tagung des Langnam-Vereins vorgetragen worden waren, wurden in der Ausprache von verschiedenen Rednern ergänzt.

Geheimrat Bürgers (Köln) erkannte die preussische Verwaltungsreform vom 3. September als grundsätzlich richtig an und verlangte noch weitere Vereinfachungen, vor allem bei den Arbeits- und Finanzämtern.

Der Präsident des Landkreistages, Dr. von Stempel, hob hervor, dass nur eine grundlegende Finanzreform die augenblicklichen chaotischen Züstände in den Gemeindefinanzen beseitigen könnte. Es sei hierzu neben der Uebertragung von Steuern zur ausschliesslichen und selbtständigen Ausschöpfung eine Personalsteur erforderlich.

Oberbürgermeister Dr. Lehr (Düsseldorf) berechnete die kommunale Belastung aus der Wohlfahrts- und Erwerbslosenfürsorge, den Polizei- und den Schulkosten auf 1,73 Milliarden Reichsmark. Mit den Fehlbeträgen aus den Vorjahren ergebe sich eine gesamte Vorbelastung von 2,7 Milliarden, ehe für die vielen anderen Aufgabe auch nur ein Pfennig bereitgestellt werden könne.
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15 maggio 2017

Preußen contra Reich vor dem Staatsgerichtshof: 1. Erster Verhandlungstag.

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Vor - 1ªvt  - II° pt e 2ª -
ERSTER VERHANDLUNGSTAG
Montag den 10. Oktober 1932, vormittags 10.30 Uhr

| B | Index: 1. Bumke.: Apertura del processo. Indicazione delle parti e oggetto del processo. - 2. Gottheiner.: spiega perché il Cancelliere del Reich non è presente. - 3. Brecht.: agiremo lo stesso anche senza la presenza del Cancelliere del Reich. - 4. Bumke.: Preghiera e raccomandazioni al pubblico a causa della cattiva acustica della sala. - 5. Schmitz.: Rinvio redazionale all’Appendice, che contiene il testo della relazione. - 6. Bumke.: - 7. Brecht.: - 8. Jan.: - 9. Fecht.: - 10. Gottheiner.: - 11. Bumke.: -. | 12. Riproduzione anastatica del testo originale, qui ripubblicato. - 13. Indice e rinvio all’edizione anastica dell'intero volume. -

I. EINLEITENDE ERKLÄRUNGEN

1. • / Index.
Reichsgerichtspräsident Dr. Bumke: Die öffentliche Sitzung des Staatsgerichtshof für das Deutsche Reich ist eröffnet.

- Es handelt sich um die zu gemeinsamer Verhandlung und Entscheidung verbundenen Streitsachen:

1°. des Freistaats Preußen, vertreten durch das Preußische Staatsministerium, der Zentrumsfraktion im Preußischen Landtag, vertreten durch ihren Vorsitzenden, und der Fraktion der Sozialdemokratischen Partei im Preußilchen Landtag, vertreten durch ihren Vorsitzenden,


gegen

das Deutsche Reich, vetrreten durch die Reichsregierung;
Reichsgericht in Leipzig um 1900

2°. des preußischen Ministerpräsidenten Dr. Otto Braun und des preußischen Ministers der Innern Dr. Carl Severing, sowie der preußischen Minister Hirtsiefer, Steiger, Dr. Schreiber, Dr. Schmidt, Grimme und Klepper


gegen

einmal das Deutsche Reich, vertreten durch die Reichsregierung, und ferner gegen den Reichskanzler als Reichskommissar von Preußen;

3°. um den Antrag des Landes Bayern, vertreten durch das Bayerische Gesamtministerium,


gegen

das Deutsche Reich, vertreten durch die Reichsregierung;

4°.  um den Antrag des Landes Baden, vertreten durch das Badische Staatsministerium,


gegen

das Deutsche Reich, vertreten durch die Reichsregierung,


 wegen

verfassungswidriger Einsetzung eines Reichskommissars für das Land Preußen.

Es sind erschienen:

Für das Land Preußen und wohl auch gleichzeitig für die bisherigen preußischen Staatsminister:

– Herr Ministerialdirektor Dr. Brecht,
– Herr Ministerialdirektor Dr. Badt,
– die Herren Universitäts-Professoren Giese und Anschütz.

Für die Zentrums fraktion:
– Herr Professor Dr. Peters;
für die Fraktion der Sozialdemokratischen Partei:
– Herr Professor Dr. Heller;
für das Land Bayern:
– Herr Staatsrat von Jan und Herr Professor Nawiasky, Herr Regierungsrat und Privatdozent Dr. Maunz;
für Baden:
– Herr Ministerialdirektor Dr. Fecht und Herr Oberregierungsrat Walz.

Für das Deutsche Reich und, wie ich wohl annehmen darf, gleichzeitig für den Herrn Reichskanzler als Reichskommissar für Preußen (Widerspruch von seiten des Reichsvertreters) sind erschienen:
– Herr Ministerialdirektor Gottheiner und Herr Ministerialdirektor Dr. Hoche, Herr Professor Dr. Carl Schmitt, Herr Professor Dr. Jacobi und Herr Professor Dr. Bilfinger.

Ich glaube, daß ich damit wohl alle Herren aufgerufen habe. Darf ich dann zunächst an Herrn Ministerialdirektor Gottheiner die Frage richten, wie ich das verstehen soll, daß, soweit ich sehe, dann der Herr Reichskanzler als Reichkommissar für Preußen heute unvertreten ist.
Georg Gottheiner (1879-1956)

2.  •
/ Index. 
Ministerialdirektor Gottheiner: Der Herr Reichskanzeler ist in seiner Eigenschaft als Reichskommissar für das Land Preußen nicht vertreten. Ich beziehe mich in dieser Beziehung auf den Schlußsatz unseres Schriftsatzes von 20. September in der Staatsgerichtshofssache 19/32.

3. • / Index. 
Ministerialdirektor Dr. Brecht: Wir würden dann beantragen, ohne den Vertreter des Reichskanzlers zu verhandeln.

4./ Index. 
Reichspräsident  Dr. Bumke: Über diese Frage muß ich der Staatsgericht noch schlüssig machen.

Ich möchte dann zunächst an die Zuhörer die Bitte richten, nach Möglichkeit in keiner Weise diese Verhandlung zu stören.  Dieser Saal hat eine außerordentlich schlechte Akustik, und selbst das kleinste Geräusch in Zuhörerraum ist geeignet, uns vom Staatsgerichtshof, aber auch den Herren Vertreten, sowie den Herren von der Presse die Beobachtung der Vorgänge, die für uns wichtig sind, zu erschweren. Ich würde dankbar sein, wenn auf diese Bitte ganz allgemein Rücksicht genommen würde.

Ich darf dann zünachst den Herrn Berichterstatter bitten, seinen Bericht zu erstatten. 


5./ Index. 
Berichterstatter Reichsgerichtsrat Dr. Schmitz (erstattet auf Grund der Schriftsätze Bericht. Der Bericht wird hier nicht abgedruckt; es wird statt dessen auf den Teil I der Gründe der im Anhang abgedruckten Entscheidung des Staatsgerichtshofs vom 25. Oktober 1932 verwiesen.) 

6./ Index. 
Reichsgerichtspräsident Dr. Bumke: Darf ich dann folgendes sagen. Zunächst liegt mir daran, mit einem Wort auf die bisherige Entwicklung dieser Streitsache einzugehen. Ich tue das nicht um deswillen, weil in der Presse zu einem Teil Vorwürfe gegen den Staatsgerichtshof erhoben worden sind, daß er das Verfahren verzögere, zum Teil ist sogar ziemlich unverhüllt gesagt worden, absichtlich verschleppe. Uns genügt das Bewußtsein, daß wir alles Erdenkliche getan haben, um seit jenem Tage, an dem über den Antrag auf Erlaß einer einstweiligen Verfügung entschieden wurde, das Verfahren mit aller Kraft zu fördern und zu Ende zu treiben. Ich gehe vielmehr auf diese Dinge um deswillen ein, weil in der Presse auch zutage getreten ist, daß die eine oder die andere Partei dies Verfahren gewissermaßen sabotiert habe. Ich kann dazu nur sagen, daß ich auf Grund einer sehr genauen Kenntnis des ganzen Ganges dieser Angelegenheit die klare und bestimmte Überzeugung habe, daß keiner der Beteiligten irgendetwas getan hat, was diese Entscheidung hätte aufhalten können, sondern daß im GegenteIl von allen Stellen mit äußerster Kraft und mit äußerster Beschleunigung gearbeitet worden ist. Was die Sache lange aufgehalten hat, ist ihre Schwierigkeit, eine Schwierigkeit, die in der Öffentlichkeit zu einem großen Teil bisher völlig verkannt worden ist, ihre Schwierigkeit und ihre Tragweite. Ich kann insbesondere auch hervorheben, daß seitens des Reichs von vornherein und immer wieder der Wunsch zutage getreten ist, die Sache nach Möglichkeit zu beschleunigen. Ich darf schließlich bemerken, daß der Schriftwechsel in diesen Angelegenheiten seinen Abschluß am 22. September gefunden hat. Am 28. September ist der Termin anberaumt worden. Damit möchte ich dies Kapitel verlassen. Ich nehme nicht an, daß dazu Erklärungen gewünscht werden.

Ich möchte mich dann der Frage der geschäftlichen Disposition zuwenden. Ebenso wie der Staatsgerichtshof verfrühten Mitteilungen über das vorausichtliche Datum des Termins fern gestanden hat, ebenso steht er auch diesmal den Mitteilungen ganz fern, die über die Dauer der Verhandlungen gebraucht worden sind. Ich für meine Person vermag nicht einzusehen, worauf sich die Annahme stützt, daß unsere Verhandlungen drei Tage dauern werden und unsere Beratungen zwei Tage (Heiterkeit). Das kann ich umso weniger voraussagen oder prophezeien, als naturgemäß die Dauer der Verhandlungen ganz stark, ich möchte sagen, ausschlaggebend, von den Parteien selbst beeinflußt wird. Ich kann es selbstverständlich in einer solchen Sache den Beteiligten nicht verwehren, uns ihre Auffassung mit aller Gründlichkeit und Deutlichkeit darzulegen. Allerdings darf ich dabei eine Einschaltung machen. Ich pflege stets im Staatsgerichtshof hervorzuheben, und möchte das auch heute tun, daß alles das, was in den Schriftsätzen steht, nicht nur dem Berichterstatter, nicht nur dem Vorsitzenden, sondern den sämtlichen anderweitig an der Verhandlung beteiligten Mitgliedern des Staatsgerichtshofs bekannt ist, so daß an sich die Möglichkeit bestände, im breiten Umfange auf das zu verweisen, was in den Schriftsätzen steht. Nun verkenne ich auf der anderen Seite aber nicht, daß gerade bei einer solchen Streitsache, an der mit Recht die Öffentlichkeit ein brennendes Interesse hat, die Parteien den Wunsch haben, ihre Auffassungen hier nicht in der Form geltend zu machen, daß sie auf Schriftsätze verweisen, die der Öffentlichkeit unbekannt sind, sondern ihre Auffassung hier mündlich vorzutragen und so gewissermaßen auch der Öffentlichkeit zu unterbreiten. Dabei darf ich aber eines sagen: die Aufgabe des Staatsgerichtshofs ist nicht, zu prüfen und darüber zu entscheiden, ob das, was geschehen und was hier angefochten ist, politisch zweckmäßig, politisch heilsam war oder nicht. Der Staatsgerichtshof hat darüber zu entscheiden, ob das, was geschehen ist, sich im Rahmen der Verfassung hält. Nur unter diesem Gesichtspunkt allein kann unsere Verhandlung stehen. und ich richte an die Herren Vertreter die Bitte, sich dieses Zieles unserer Verhandlungen bewußt zu sein. Es wird sich selbstverständlich nicht umgehen lassen, daß gewisse Werturteile, gewisse Auffassungen über die politische Lage und die politischen Wirkungen mit in die Verhandlungen hineinspielen, aber alles, was uns nach der Richtung vorgetragen wird, hat für uns nur Bedeutung, soweit es auf diese Frage der Rechtmäßigkeit, der Verfassungsmäßigkeit Bezug hat.
 

Wie nun die sehr zahlreichen Herren Vertreter sich untereinander die Vertretung geteilt haben, und wie die Gefahr gewisser Wiederholungen verhütet werden soll, muß ich den Herren selbst überlassen. Nur darf ich vielleicht den Herren Universitätsprofessoren, – von denen ich annehme, daß sie gewissermaßen als sachverständige Berater der Beteiligten, die sie beauftragt haben, hier erschienen sind, und bei denen ich davon ausgehe, daß sie für sich ein volles Maß von wissensschaftlicher Unabhängigkeit in Anspruch nehmen – sagen, daß diese Fragen des Art. 8 auch, soweit sie in der Literatur und zwar bis in die neueste Zeit hinein wissenschäftlich behandelt worden sind, dem Staatsgerichtshof und seinen einzelnen Mitgliedern als bekannt vorausgesetzt werden dürfen. 

Ich möchte dann zu der Frage der äußeren Einteilung der nächsten Tage übergehen. Ich lege großen Wert darauf, daß wir alle unsere Spannkraft bis zum letzten Moment bewahren, und daß die Mitglieder des Staatsgerichtshof auch nach dieser Verhandlung in die Beratung nicht in einem völlig abgekämpften Zustand hineingehen. Ich möchte deshalb an dem immer eingeschlagenen und durchaus bewährten Verfahren festhalten, daß wir unsere Tage nIcht übermäßig vollstopfen. Ich schlage vor, daß wir im allgemeinen gegen Mittag eine ausgiebige Pause von 2 - 2 1/2 Stunden machen. Dabei kommt auch in Betracht, daß meine übrigen Geschäfte natürlich nicht liegen bleiben.

Dann darf ich zu der Frage übergehen, wie wir uns den Stoff einteilen wollen. In dieser Angelegenheit spielt eine erhebliche Rolle die Frage, die man im allgemeinen als die Frage der Prozeßvoraussetzungen zu bezeichnen pflegt, die Frage, inwieweit den Streitteilen, die sich an uns gewandt haben, eine Parteistellung, die Parteifähigkeit zuzubilligen ist, also die Frage, inwieweit sie gerade den Streit, den sie an uns herangetragen haben, führen können, die Frage der Aktivlegitimation. Es kommt hier dazu die Frage der Passivlegitimation. Es kommt dann ferner die Frage, ob das, was sich hier zwischen Bayern und Baden auf der einen Seite und dem Reich auf der andern Seite abspielt, eine Verfassungsstreitigkeit im Sinne des Art. 19 der Reichsverfassung ist oder nicht, kurz eine ganze Reihe von Einzelfragen, die alle etwas abseits des Hauptthemas liegen. Es kann sich dann auch die Frage erheben, ob an der Fassung der Anträge noch zweckmäßig dieses oder jenes retuschiert, geändert werden sollte.  – Ich möchte empfehlen, alle diese Fragen zunächst beiseite zu lassen und sie an den Schluß zu stellen. Sie sind gewiß wichtig, aber sie sind, wie ich glaube, nicht annähernd so wichtig wie das Hauptthema, das uns beschäftigen soll, und ich möchte auch vermeiden, daß wir bei der Erörterung dieser Fragen unnötig Zeit und Kraft vergeuden, die wir bei dem Hauptthema besser verwenden könnten. Dann glaube ich auch, daß die Erörterung eben dieser Fragen doch immer wieder in die Hauptsache selbst hineinführt, so daß wir dann schon dazu kämen, vorzugreifen. – Ich darf wohl davon ausgehen, daß gegen diesen Vorschlag keine Bedenken bestehen. (Wird durch Zuruf bestätigt.)


Ich möchte dann weiter vorschlagen, daß wir uns zunächst darüber unterhalten, welche tatsächliche Lage am 20. Juli d. J. nach Auffassung der Beteiligten bestand, und auf welche Erwägungen tatsächlicher Art sich die Annahme stützen konnte und gestützt hat, daß ein Einschreiten mit den in der Verordnung vom 20. Juli bezeichneten Mitteln gegenüber Preußen nötig sei.


Ich möchte dann vorschlagen, wenn dies Kapitel erörtert ist, uns der Frage zuzuwenden: Welcher Zustand ist nach Auffassung der Parteien durch die Verordnung vom 20. Juli und durch die Ausführung dieser Verordnung in Preußen geschaffen worden? Dabei würde ich besonderen Wert darauf legen, etwas Näheres darüber zu hören, wie die Beteiligten die Stellung des Herrn Reichskanzlers als Reichskommissar für Preußen und die Stellung der von ihm wiederum bestellten Kommissare für Preußen auffassen. Dabei interessiert uns namentlich, ob der Herr Reichskanzler in dieser Eigenschaft als Reichskommissar als eine reine Reichsstelle angesehen wird, die als Reichsstelle nun vorübergehend für Preußen handelt oder, zugleich wenigstens, auch als eine preußische Stelle. Und ebenso würde in diesen Rahmen wohl die Frage hineingehören, wie nun eigentlich die Rechtslage der preußischen Staatsminister, die jetzt der Ausübung ihres Amtes enthoben sind, zu beurteilen ist.


Wenn wir diese Frage behandelt haben, dann können wir uns der Erörterung über den Art. 48 Abs. 1 zuwenden. Hier, glaube ich, wird man nicht an den Fragen der Grundkonstruktion des Reichs vorübergehen können, auch nicht an der geschichtlichen Entwichlung, insbesondere an der Frage, unter welchen Umständen und aus welchen Gedankengängen heraus der Art. 48 entstanden ist und an der Frage, wie er seit seiner Entstehung angewandt worden ist. Gerade mit Rücksicht darauf, daß in den Schriftsätzen mitunter mit dem Gedanken operiert wird, aus dem Wesen eines Bundesstaates ergebe sich das und das, würde ich auch glauben, daß wir nicht ganz vorübergehen sollten an der Frage der Rechtsvergleichung und insbesondere die Verhältnisse der Schweiz und vielleicht von Nordamerika wenigstens kurz streifen, soweit die Parteien selbst glauben, daraus für ihre Rechtsauffassung irgendwelche Folgerungen ableiten zu können.


Ich würde dann vorschlagen, daß wir zunächst Art. 48 Abs. 1 erörtern und diese Erörterung in zwei große Gruppen teilen: die Voraussetzungen und die Befugnisse. Was wiederum die Voraussetzungen angeht, so scheinen mir nach dem bisherigen Schriftwechsel einer besonderen Erörterung wert

1. die Frage: Was heißt Pflichtverletzung eines Landes?
2. die Frage: Inwieweit erfordert der Art. 48 Abs. 1 ein subjektives Verschulden?
3. die Frage: Setzt Art. 48 Abs. I eine zuvorige Mängelrüge voraus?
und
 4. die Frage: Ist die Auffassung berechtigt, daß auf Grund des Art. 48 Abs. 1 nur eingegriffen werden darf, nachdem zuvor durch gerichtliche Entscheidung die Tatsache der Pflichtverletzung festgestellt ist?
Dann käme die Frage, welche Befugnisse Art. 48 Abs. I dem Reichspräsidenten gewährt, und wo die Grenzen dieser Befugnisse zu finden sind, wobei die einzelnen Fragen der Sequestration der Absetzung von Ministern, Reichsrat, Verhältnis zum Parlament, Beamtenernennung zu erörtern wären.

Wenn wir dies Kapitel erledigt haben, könnten wir uns zu Art. 48 Ab. 2 wenden. Auch hier würde wohl zweckmäßig zunächst die Frage der Voraussetzungen zu erörtern sein, und es erscheint in diesem Zusammenhang nun eine Unterfrage, vielleicht auch zwei Unterfragen, einmal die in den Schriftsätzen mehrfach angeschnittene Frage, ob der Reichspräsident befugt ist, gegen ein deutsches Land auf Grund des Art. 48 Abs. 1 einzuschreiten, ohne gleichzeitig gegen andere Länder einzuschreiten, in denen die gleichen oder ähnliche Verhältnisse vorliegen, und zweitens die Frage, ob der Reichspräsident an diesem Einschreiten aus Art. 48 Abs. 1 irgendwie dadurch gehindert sein kann, daß durch die Politik des Reiches selbst dazu beigetragen worden ist, die Voraussetzungen für ein Einschreiten aus Art. 48 Abs. 1 zu schaffen.


Was dann die Frage der Befugnisse aus Art. 48 Abs. 2 angeht, so wird man vielleicht zweckmäßig hier ähnlich prozedieren wie bei Art. 48 Abs. 1.


Wenn wir diese Fragen erledigt haben, bleibt uns nach meiner Auffassung noch eine große Frage übrig, nämlich: In welchem Umfange sind die Schritte, die der Reichspräsident auf Grund des Art. 48 Abs. 1 oder 2 unternimmt, gerichtlich nachprüfbar, und darunter würde sich dann als Sonderfrage wieder erheben: Nimmt in dieser Frage das Nachprüfungsrecht des Staatsgerichtshofs etwa im Vergleich zu anderen Gerichten eine besondere Stellung ein?


Wenn wir diese Fragen erledigt haben, können wir uns den Fragen, von denen ich im Anfang sprach, zuwenden, den Fragen der Parteifähigkeit der Aktiv-und Passiv-Legitimation.


Schon aus diesem Stoff und dem Bericht ergibt sich nach meiner Auffassung, daß es einer äußersten Konzentration bedürfen wird, wenn wir in absehbarer Zeit – ich nenne keine Zahl von Tagen – mit den Verhandlungen zu Ende kommen wollen. Ich würde aber diese Konzentration nicht nur um deswillen empfehlen, damit die Entscheidung nun endlich ergehen kann, sondern auch um deswillen. weil nur durch ein starkes Herausarbeiten der leitenden Gesichtspunkte der wirklich wichtigen Fragen, die Öffentlichkeit ein klares Bild von dem gewinnen kann, was hier eigentlich verhandelt wird.


Ich darf mich dann dem ersten Punkt zuwenden: Welches war nach Auffassung der Beteiligten die tatsächliche Lage am 20. Juli 1932 und auf welche Erwägungen konnte ich die Annahme stützen, daß in der Art vorgegangen werden müsse, wie vorgegangen ist?


Auch hier scheint es mir durchaus möglich, daß wir alles Detail beiseite lassen. Es sind dem Staatsgerichtshof eine große Zahl von Äußerungen über Vorgänge in den Ministerien beigebracht worden, Äußerungen, Gegenäußerungen, protokollarische Vernehmungen. Es haben diese Erörterungen schließlich zurückgeleitet bis in das Jahr 1927 zu Vorgängen und Umständen beim Verbot des Rot-Front-Kämpfer-Bundes. Ich glaube nicht, daß es nötig ist und daß es der Klarheit dienen würde, wenn wir uns jetzt auf diese Einzelheiten einließen. Ich möchte meinen, daß es genügen würde, wenn Reich und Preußen uns in großen Zügen ihre Auffassung der tatächlichen Lage am 20. Juli darstellten. Ich möchte ferner glauben, daß auch die Erörterungen über diesen, den heißesten Punkt, in diesem Saale so gehalten werden können und sollten, daß alles persönlich Verletzende herausbleibt. Wir sollten uns darüber klar sein, daß hier der Kampf nicht vor einem politischen Gremium geführt wird, sondern vor einer Rechtsinstanz, und daß es andere Orte, andere Gelegenheiten geben wird, um das, was der rein politischen Rechtfertigung dienen kann, zu sagen.


Ich möchte dann nur noch mit einem Wort auf die Frage einsehen, in welchem Lichte ich gern die Frage des Art. 48 Abs. 1 und 2 gesehen haben möchte. Gerade weil ich davon ausgegangen bin, daß wir die Frage der tatsichlichen Vorgänge voraus behandeln, meine ich, daß wir dann den Art. 48 Ab. 1 und 2 in einem ganz allgemeinen Lichte betrachten müssen. Hier liegt vielleicht für den Staatsgerichtshof die größte Schwierigkeit, nämlich die, zu vermeiden, daß er aus Anlaß eines bestimmten Vorkommnisses Verfassungsartikeln einen Sinn gibt, einem Verfassungsartikel eine Grenze zieht, die ich bei einem neuen Vorkommnis als unerträglich, als falsch erweist. Dieser Gefahr werden wir am besten ausweichen, wenn wir uns bei der Erörterung des Art. 48 Abs. 1 und 2 vorzustellen versuchen, welche Lagen der äußersten Gefahr überhaupt eintreten können, wenn wir uns auch versuchen zurückzudenken in Zeiten schwerster außenpolitischer Spannung und auch in Zeiten, in denen vielleicht dann vom Inland zum Ausland gewisse, für das Gesamtwohl des Reich höchst bedrohliche Fäden laufen. Die Zeiten, in denen das geschehen ist, sind nicht allzu fern. Ich glaube, wir können zu einer richtigen Erkenntnis nur dann kommen, wenn wir auch die äußerste Möglichkeit einer Gefahr für das Reich mit ins Augen fassen.


7./ Index. 
Ministerialdirektor Dr. Brecht: Ich bitte um die Erlaubnis, noch vor der Tagesordnung einige Worte über den Sinn der preußischen Klage zu sagen.

Was will Preußen mit seiner Klage? Preußen will keinen Angriff gegen die Person des Herrn Reichspräsidenten richten. Die Herren preußischen Staatsminister haben keinen Zweifel an dem grundsätzlichen Willen des Herrn Reichspräsidenten die Verfassung zu wahren. Sie sind alle Wähler des Herrn Reichspräsidenten, ja mehr, sie haben sich für seine Wahl mit all ihren Kräften eingesetz. Sie erhalten ihm die Verehrung, die ihm als dem deutschen Reichsoberhaupt im besonderen Maße gebührt.


Wohl aber bestreiten sie auf das entschiedenste die Richtigkeit der Informationen, die dem Herrn Reichspräsidenten gegeben worden sind, und die Richtigkeit der Auslegung der Reichsverfassung, die man ihm vorgetragen hat.


Gegenstand unserer Klage ist nicht – wie der Herr Präsident des Staatsserichtsbofs schon sagte – die politische Zweckmäßigkeit des Vorgehens der Reichsregierung, nicht einmal die gute Absicht der Reichsregierung, sondern lediglich die rechtliche Zulässigkeit ihres Vorgehens.


Gegenstand des Streites ist vor allem die Befreiung Preußens und seiner Minister von dem die Ehre des Landes und seiner Vertreter aufs tiefste kränkenden Vorwurf, daß das Land Preußen die ihm nach der Reichsverfassung und den Reichsgesetzen obliegenden Pflichten nicht erfüllt habe, und daher sequestriert werden könne und müsse. Preußen und die preußischen Minister nehmen es an Reichstreue mit jedem auf, sei er, wer er wolle.


Der Herr Ministerpräsident und die Herren Staatsminister erwarten mit Gewißheit eine Entscheidung des Staatsgerichtshofs, wonach die Verordnung in dieser Form, in der sie ergangen ist, aufgehoben werden muß. Dann ist es Sache des politischen Geschicks, eine andere Lösung zu finden, bis der Landtag eine neue Regierung ernennt, und insbesondere, wenn möglich, die Union Reich-Preußen in einer neuen, besseren Form fortzusetzen und verfassungsmäßig zu regeln. Die Herren Minister stellen ihre Person dabei vollständig zurück. An der Personenfrage wird es nicht scheitern. Aber diese politischen Probleme zu meistern, ist nicht Angelegenheit dieses Verfahrens, in dem es sich – darin stimmen wir vollständig mit dem Herrn Vorsitzenden des Staatsgerichtshofs überein –nur darum handeln darf, Recht zu sprechen.


8./ Index.
Staatsrat von Jan: Ich habe namens der Bayerischen Regierung folgendes zu erklären: Der Sinn der bayerischen Klage ist ein durchaus anderer als der Sinn der preußischen Klage. Die bayerische Klage richtet sich nicht unmittelbar gegen die Verordnung vom 20. Juli 1932. Unser Blick richtet sich nicht in die Vergangenheit, sondern in die Zukunft. Es kommt uns darauf an, im bundesfreundlichen Sinne möglichst im Einvernehmen mit den Reichsorganen eine Basis zu schaffen für die zukünftige Anwendung des Art. 48 überhaupt.

9./ Index. 
Ministerialdirektor Dr. Fecht: Für die Badische Regierung möchte ich folgendes erklären: Auch Baden hat ebenso wie Bayern lediglich Feststellungsklage erhoben zu dem Zweck, die absoluten und relativen Grenzen festzustellen, welche der Reichsregierung hinsichtlich der Anwendung der Bestimmungen des Art. 48 bei Exekutionen, Diktaturmaßnahmen gegen deutsche Länder gegeben sind. Die Badische Regierung hält eine solche Feststellung für nötig, nachdem auch nach ihrer Auffassung bei dem Vorgehen des Reichs gegen Preußen eine Rechtsauffassung der Reichsregierung zutage getreten ist, die die Badische Regierung als mit der Reichsverfassung nicht vereinbarlich anzusehen vermag. Die Badische Regierung befürchtet, daß durch die Rechtsauffassung der Reichsregierung der bundesstaatliche Charakter der Reichsverfassung in Frage gestellt wird und die Länder Eingriffen ausgesetzt werden, die die ihnen durch die Reichsverfassung gewährleistete Eigenstaatlichkeit vernichten. Die Badische Regierung hat ihre Klage als selbständige Klage, unabhängig von der Klage des Preußischen Staatsministerium. erhoben, um die vordringlichen Rechtsfragen, die sich hinsichtlich der Anwendbarkeit des Art. 48 auf Fälle vorliegender Art ergeben, zur Klärung zu bringen und damit zur politischen Beruhigung des Reiches beizutragen. Wenn die badische Regierung sich mit der Verbindung der Verhandlung ihrer Klage mit der preußischen einverstanden erklärt, so glaubt sie den Zweckmäßigkeitsgründen sich nicht verschließen zu sollen, die dafür sprechen. Die Vertreter werden sich aber auch nach der Verbindung der Klagen lediglich auf die Beteiligung an der Erörterung der Rechtsfragen beschränken. Die Badische Regierung hofft, daß die Verhandlungen vor dem Staatsgerichtshof im versöhnlichen Geiste geführt werden und den mit der badischen Klage verfolgten Zweck einer Klärung der Rechtslage und einer Bereinigung der politischen Atmosphäre erfüllen.

Wenn der Herr Vertreter von Preußen die Erklärung abgegeben hat, daß ihre Klage keine Spitze gegen den Herrn Reichspräsidenten enthalte, so kann ich mich dieser Erklärung für die badische Regierung nur anschließen. Für die badische Regierung handelt es sich lediglich darum, für die nach Art. 50 für die Anordnungen des Herrn Reichspräsidenten verantwortliche Reichsregierung festzustellen, in welchem Umfange die Beeinträchtigung der verfassungsmäßigen Rechte der Länder durch Maßnahmen auf Grund des Art. 48 möglich oder nicht möglich ist. Die verehrungswürdige und verehrte Person des Herrn Reichspräsidenten wird durch den Austrag dieser Rechtsfrage nach Auffassung der badischen Regierung in keiner Weise berührt. 


10./ Index. 
Ministerialdirektor Gottheiner: Soll jetzt gleich in die Erörterung des Punktes I eingetreten werden? – dann wollte ich mich zum Wort melden. 

11. •
/ Index. 
Reichsgerichtspräsident Dr. Bumke: Zunächst bitte ich die Herren Dr. Brecht, von Jan und Fecht mir möglichst den Wortlaut ihrer Erklärungen zu geben. 

Im übrigen ist die Lage bei diesem Punkt eigentümlich. Es läge an sich nahe, daß zunächst das Reich sagt, warum es so vorgegangen ist, wie das in der Verordnung vom 20. Juli geschehen ist, aber prozeßrechtlich kann ich wohl nicht umhin, zuerst die Antragsteller zu fragen, ob sie nicht das Wort zunächst zu ergreifen wünschen. Ich habe das Empfinden, daß diese Frage bejaht werden wird. Bei dieser Prozeßlage bleibt mir nichts anderes übrig, als den Herrn Vertreter dei Reichs zu bitten, zunächst noch die Erklärung Preußens in diesem Punkte abzuwarten. Ich würde dann die preußischen Herren bitten, das Wort zu nehmen.
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