31 dicembre 2006

Annotazioni autografe di Schmitt a PuB: pagina D

Nel Nachlass di Carl Schmitt in Düsseldorf si trova un esemplare a stampa di Positionen und Begriffe, annotato da Schmitt. Nei limiti del possibile ho riportato le annotazioni schmittiane nella mia traduzione italiana di Posizioni e concetti, di prossima uscita per i tipi di Giuffrè nella stessa Collana Civiltà del diritto, dove sono apparse le mie precedenti traduzioni di Carl Schmitt. In questo blog offro al pubblico degli studiosi la riproduzione fotografica alla risoluzione massima possibile delle pagine in questione, che sono numerate con lettere (A, B, C, D, E) nei frontespizi e occhielli non numerate e con la pagine originale del testo a stampa. Di ogni pagina è riportato il testo tedesco e la mia traduzione italiana. Gli studiosi che intendono collaborare alla decifrazione delle annotazioni schmittiane possono scrivere appositi commenti. Cliccando sull'immagine si ottiene un ingrandimento. L'immagine è stata acquisita da fotocopia, ottenuta dall' Archivio di Stato di Düsseldorf in uno dei miei soggiorni, non recenti, in cui non disponevo ancora di apparati fotografici. Ringrazio il CNR che mi ha consentito con uno specifico finanziamento diversi soggiorni di studio e ricerca in Düsseldorf. Per quanto mi sarà possibile cercherò in seguito di migliorare la riproduzione fotografica, ma anche così mi sembra che il risultato ottenuto sia apprezzabile, per lo meno in prima approssimazione.

Pag. D


Annotazioni autografe di Schmitt a PuB: pagina C

Nel Nachlass di Carl Schmitt in Düsseldorf si trova un esemplare a stampa di Positionen und Begriffe, annotato da Schmitt. Nei limiti del possibile ho riportato le annotazioni schmittiane nella mia traduzione italiana di Posizioni e concetti, di prossima uscita per i tipi di Giuffrè nella stessa Collana Civiltà del diritto, dove sono apparse le mie precedenti traduzioni di Carl Schmitt. In questo blog offro al pubblico degli studiosi la riproduzione fotografica alla risoluzione massima possibile delle pagine in questione, che sono numerate con lettere (A, B, C, D, E) nei frontespizi e occhielli non numerate e con la pagine originale del testo a stampa. Di ogni pagina è riportato il testo tedesco e la mia traduzione italiana. Gli studiosi che intendono collaborare alla decifrazione delle annotazioni schmittiane possono scrivere appositi commenti. Cliccando sull'immagine si ottiene un ingrandimento. L'immagine è stata acquisita da fotocopia, ottenuta dall' Archivio di Stato di Düsseldorf in uno dei miei soggiorni, non recenti, in cui non disponevo ancora di apparati fotografici. Ringrazio il CNR che mi ha consentito con uno specifico finanziamento diversi soggiorni di studio e ricerca in Düsseldorf. Per quanto mi sarà possibile cercherò in seguito di migliorare la riproduzione fotografica, ma anche così mi sembra che il risultato ottenuto sia apprezzabile, per lo meno in prima approssimazione.

Pag. C


Annotazioni autografe di Schmitt a PuB: pagina B

Nel Nachlass di Carl Schmitt in Düsseldorf si trova un esemplare a stampa di Positionen und Begriffe, annotato da Schmitt. Nei limiti del possibile ho riportato le annotazioni schmittiane nella mia traduzione italiana di Posizioni e concetti, di prossima uscita per i tipi di Giuffrè nella stessa Collana Civiltà del diritto, dove sono apparse le mie precedenti traduzioni di Carl Schmitt. In questo blog offro al pubblico degli studiosi la riproduzione fotografica alla risoluzione massima possibile delle pagine in questione, che sono numerate con lettere (A, B, C, D, E) nei frontespizi e occhielli non numerate e con la pagine originale del testo a stampa. Di ogni pagina è riportato il testo tedesco e la mia traduzione italiana. Gli studiosi che intendono collaborare alla decifrazione delle annotazioni schmittiane possono scrivere appositi commenti. Cliccando sull'immagine si ottiene un ingrandimento. L'immagine è stata acquisita da fotocopia, ottenuta dall' Archivio di Stato di Düsseldorf in uno dei miei soggiorni, non recenti, in cui non disponevo ancora di apparati fotografici. Ringrazio il CNR che mi ha consentito con uno specifico finanziamento diversi soggiorni di studio e ricerca in Düsseldorf. Per quanto mi sarà possibile cercherò in seguito di migliorare la riproduzione fotografica, ma anche così mi sembra che il risultato ottenuto sia apprezzabile, per lo meno in prima approssimazione.

Quadro d'insieme:


Pagina B

Annotazioni autografe di Schmitt a PuB: pagina A

Nel Nachlass di Carl Schmitt in Düsseldorf si trova un esemplare a stampa di Positionen und Begriffe, annotato da Schmitt. Nei limiti del possibile ho riportato le annotazioni schmittiane nella mia traduzione italiana di Posizioni e concetti, di prossima uscita per i tipi di Giuffrè nella stessa Collana Civiltà del diritto, dove sono apparse le mie precedenti traduzioni di Carl Schmitt. In questo blog offro al pubblico degli studiosi la riproduzione fotografica alla risoluzione massima possibile delle pagine in questione, che sono numerate con lettere (A, B, C, D, E) nei frontespizi e occhielli non numerate e con la pagine originale del testo a stampa. Di ogni pagina è riportato il testo tedesco e la mia traduzione italiana. Gli studiosi che intendono collaborare alla decifrazione delle annotazioni schmittiane possono scrivere appositi commenti. Cliccando sull'immagine si ottiene un ingrandimento. L'immagine è stata acquisita da fotocopia, ottenuta dall' Archivio di Stato di Düsseldorf in uno dei miei soggiorni, non recenti, in cui non disponevo ancora di apparati fotografici. Ringrazio il CNR che mi ha consentito con uno specifico finanziamento diversi soggiorni di studio e ricerca in Düsseldorf. Per quanto mi sarà possibile cercherò in seguito di migliorare la riproduzione fotografica, ma anche così mi sembra che il risultato ottenuto sia apprezzabile, per lo meno in prima approssimazione.

Quadro d'insieme: A, B,

Pag. A


16 dicembre 2006

Piet Tommissen: Carl Schmitt e il renouveu cattolico nella Germania degli anni venti

Si tratta di un saggio di Piet Tommissen da me tradotto in italiano nel 1975 e apparso in “Storia e Politica”, anno XIV, fasc. 4, pp. 481-500. Il testo originale in lingua tedesca è immediatamente disponibile in altro post di questo blog. Essendo ormai trascorsi trenta anni apporto in questa mia traduzione tutte le modifiche e gli aggiornamenti che mi sembreranno opportuni.

Sommario:


I.
IL RENOUVEAU CATTOLICO NELLA GERMANIA DEGLI ANNI VENTI

Gli specialisti considerano l’anno 1918 come un annus mirabilis nella storia del cattolicesimo tedesco. Gli strati popolari cattolici abbandonarono allora quasi da sera a mattina la diaspora spirituale, nella quale erano vissuti per tutto il secolo XIX. I giovani intellettuali di osservanza cattolica perdono il loro complesso di inferiorità; la generazione più anziana si dichiara pronta a collaborare con gente di diversa convinzione e ad assumersi delle responsabilità. I ricercatori, i pensatori ed i poeti cattolici vengono improvvisamente presi sul serio dagli avversari di ieri, cioè vengono letti e giudicati degni di discussione. II cattolicesimo non era più considerato retrogrado. A dimostrazione di ciò si può notare come »Die Tat«, l’accurata rivista del noto editore Eugen Diederichs (1867-1930), pubblicasse rispettivamente nell’aprile 1921, nell’aprile 1922 e nell’aprile 1923 un fascicolo speciale di ispirazione cattolica con il paradigmatico sottotitolo «Mensile per il futuro della cultura tedesca» (1) (non siamo ancora alla fucina di idee raccoltasi intorno ad Hans Zehrer (1889-1964)) (2). Nel terzo di questi quaderni il sociologo Ernst Michel (1889-1964) scrisse un articolo conclusivo, rivolto ai cattolici tedeschi, che recava nel titolo la formula « Extra ecclesiam nulla salus », cioè quel motto di sapore giansenista, che fu per la prima volta usato da San Cipriano (200-258):
«...e tuttavia non abbiamo — come cattolici — il diritto di alzare una muraglia cinese intorno a noi » (3).
Questa frase corrisponde perfettamente ad un nuovo sentimento della vita che si afferma con forza e con coraggio, allo spirito cioè di uno spregiudicato sentimiento de la vida nel senso del famoso spagnolo Miguel de Unamuno (1864-1936).

Che cos’era successo? È molto difficile riuscire a districarsi nel groviglio di forze ed influssi che hanno agito in questo processo di chiarificazione e di emancipazione. Vi fu certamente un contributo di fattori esterni. La prima guerra mondiale e la vita di guerra trasformò uomini e convinzioni. Non a caso il libro del pluridecorato Ernst Jünger (1895-1998), La guerra come esperienza interiore, era molto letto dai veterani. L’esito catastrofico della guerra favoriva il sorgere ed il divulgarsi di una nuova mentalità cattolica. A mio avviso è bene tenere qui distinti tre ordini di fattori: i rapporti politici di forza si prestavano a mutamenti; per il futuro occorreva tenere nella dovuta considerazione la costituzione di Weimar; ed infine erano numerosi i tedeschi che sentivano gli accordi di Versailles come un Diktat. Circa il primo punto è sufficiente ricordare che fra la caduta dell’impero e l’avvento del nazionalsocialismo (1933) si sono avvicendati al potere trentatrè governi, e sempre con l’appoggio del centro. Per quanto riguarda il secondo punto occorre invece osservare che la costituzione dell’11 agosto 1919, frutto degli sforzi del giurista Hugo Preuss (1860-1925), sanciva all’art. 109 l’eguaglianza di tutti i tedeschi di fronte alla legge. I cattolici avrebbero perciò goduto di eguali diritti. Infine, a dimostrazione dello stato d’animo tedesco dopo gli accordi di Versailles, è significativa l’opinione del convertito Theodor Haecker (1879-1945). Nel Brenner, l’intelligente rivista di Ludwig von Fickers (1880-1967) (4), egli scrisse sulla « bestemmia di Versailles », qualificò la Società delle Nazioni come un «aborto del veleno wilsoniano e del lerciume gallico», ed inoltre si mostrava del parere che per l’attiva assistenza ai profughi il dinamico Frithjof Nansen (1861-1930) fosse agli occhi di Dio molto piu gradito che non il cardinale belga Désiré Joseph Mercier (1851-1926) (5),
«il quale vede così bene come da un telescopio le schegge nell’occhio del prossimo quasi fossero travi e non scopre dall’altra estremità neppure una volta la trave che è nel suo ‚latino’» (6).
Tutto ciò sarebbe tuttavia rimasto senza effetto, se non si fossero manifestati anche altri fattori. Ad esempio, produsse certamente i suoi effetti il lavoro iniziato nel 1903 da Karl Muth (1867-1944) e dai collaboratori di Hochland, per avviare il cattolicesimo ad un atteggiamento di apertura culturale. C’era poi Max Scheler (1874-1928). I suoi colleghi Peter Wust (1884-1940) e Dietrich von Hildebrand (1889-1977) hanno chiaramente dimostrato l’attrazione e l’influenza, che egli esercitò su molti giovani intellettuali negli anni decisivi 1916-1921. Ed infine, gli artt. 135 e 137 della costituzione di Weimar non rimasero certo privi di conseguenze. L’art. 137 dichiarava expressis verbis che nell’Impero tedesco non esisteva alcuna chiesa di stato. Era cioè segnata la fine del summus episcopus del protestantesimo tedesco. L’art. 135 d’altro canto garantiva a tutti gli abitanti dell’Impero la piena libertà di fede e di coscienza ed ebbe automaticamente come conseguenza il rientro degli ordini esiliati o emigrati. Tra il 1913 e il 1926 il numero dei conventi maschili salì da 373 a 559 ed il numero dei religiosi da 6.430 a 10.458 (7). Non c’e quindi da meravigliarsi se dopo il 1918 veniva alla luce qualche talento nascosto. Sarebbe però sbagliato voler desumere da questo fatto, come si è talvolta tentato, il sorgere di una élite cattolica. Si può tutt’al più parlare di una brillante pleiade di giovani e promettenti forze.

In questa nuova situazione i cattolici disponevano di solide riviste, presto destinate alla collaborazione di studiosi di diverso orientamento. II movimento liturgico, che sotto l’impulso dell’abate benedettino Ildefons Herwegen (1874-1946) ebbe inizio il giorno di Pasqua 1918 con la serie di scritti Ecclesiam orans, conquistava rapidamente un vasto seguito fuori dei confini dell’Impero (8). Ne può qui rimanere senza menzione il movimento giovanile. II Quickborn, uscito da una lega di astinenti, si riuniva nel 1919 per la prima volta al Burg Rothenfels; Romano Guardini (1885-1968) era il mentore spirituale e gli Schildgenossen fungevano da tribuna ideologica. Importanti teologi — Erich Przywara (1889-1972), Karl Adam (1876-1966) e Carl Eschweiler (1886-1936) — facevano molto parlare di sé; le pubblicazioni di Carl Sonnenschein (1876-1929) e Peter Lippert (1879-1936) trovavano volenterosi lettori, mentre i libri di un Friedrich Muckermann (1883-1946) erano di preferenza letti in circoli culturali.

Di particolare menzione ha bisogno l’ideologia dell’Impero che aveva fatto breccia nei circoli cattolici. Qui — ha giustamente osservato Klaus Breuning (9) — può aver agito da lievito una certa nostalgia austriaca. Alti dignitari fomentavano i risentimenti e contribuivano in questo modo alla reintegrazione della componente cattolica nella popolazione. Michael von Faulhaber cardinale di Monaco, bollò al convegno nazionale del 1922, nonostante le proteste del centro, la rivoluzione del 1918 come spergiura, rea di alto tradimento e carica del segno di Caino.

II.
LA POSIZIONE DI CARL SCHMITT

Per il suo ruolo di apologista della chiesa romana, da un canto, e per quello di acuto scrittore di teologia politica, dall’altro, Carl Schmitt (1888-1985) merita una posizione particolare nella storia della rinascita cattolica tedesca. Prima di volgerci a questa doppia funzione, conviene però esaminare più da vicino alcuni aspetti della personalità dello studioso. Va anzitutto tenuto presente che i cattolici tedeschi, quelli che prima della guerra si trovavano sulla difensiva e quelli che dopo la sconfitta bellica si disposero all’offensiva, avevano un rapporto fondamentalmente diverso col fenomeno della secolarizzazione. I cattolici del periodo precedente alla guerra protestavano di continuo contro l’ottimismo arrogante di quelli che, come ha detto assai bene Albrecht Erich Günther (1893-1942), figlio della scrittrice Agnes Günther(1863-1911), erano entusiasti della «secolarizzazione produttiva» (10). Tra questi, ad esempio, si trovavano monisti del taglio di un Ernest Haeckel (1834-1919). Dopo la guerra tutto ciò sembra rapidamente mutare. Gli «antesignani della secolarizzazione », fatta eccezione per singoli volgarizzatori, devono ora cedere il campo agli «osservatori della secolarizzazione» (11). Questi ultimi sentivano che l’evoluzione del fenomeno era ormai giunta così lontano che non si poteva più non rilevare il fatto storico. In questo nuovo apprezzamento della situazione si riconobbero biologi come Jakob von Uexküll (1864-1944) con il suo ambiente accademico, biologi come Hang Bogner (1895-1948), autori con interessi filosofici come Erwin Guido Kolbenheyer (1878-1962) ed anche giuristi come Carl Schmitt. Nel caso di Schmitt vale una frase di Georg Friedrich Hegel (1770-1831), scritta nella Prefazione ai suoi Lineamenti di filosofia del diritto:
«per quel che si riferisce all’individuo, ciascuno è senz’altro flglio del suo tempo ».
Molto in vista nel pensatore l’esistenza di una vena estetica. Non per nulla è amico di pittori come Werner Gilles (1894-1961), Werner Heldt (1904-1954), Ernst Wilhelm Nay (1902-1968), di poeti come Theodor Däubler (1876-1934), Konrad Weiss (1880-1940), Hugo Ball (1886-1927), di saggisti come Franz Blei (1871-1942), di autori come Ivo Andric (1892-1975), Robert Musil (1880-1942), Ernst Jünger (12). Da giovane, in collaborazione con l’amico Fritz Eisler (?-1914), Schmitt ha pubblicato un volume di parodie (“Schattenrisse”, 1913). È giustamente considerato un esperto dell’opera di Hermann Melville (1819-1891) e dei grandi, medi e piccoli araldi del romanticismo. La sua interpretazione della figura di Amleto attende ancora l’accoglienza degli anglisti. Walter Benjamin (1892-1940) dice espressamente di aver utilizzato i concetti dello Schmitt nella stesura del grandioso libro sulle Origini della tragedia tedesca (1928) (13).

Dinanzi a queste e ad altre prove non stupisce come il giurista Peter Schneider potesse osservare che a Schmitt riuscì sempre « di guadagnare al fascino estetico l’arido terreno della giurisprudenza, pur non oltrepassando gli imperativi della tecnicità » (14).
Non meno importante è l’ininterrotto interesse di Schmitt per Donoso Cortés e per Thomas Hobbes. Da parte di competenti è stato ammesso che in Germania Cortés è stato conosciuto solo grazie agii sforzi di Schmitt. Si tratta in pratica di uno studio pubblicato in quel «liber amicorum» di Max Weber a cura di Melchior Palyi, e di due contributi per Muth (15). Come tutti sanno, Cortés, il cui contributo alla formazione del discusso Syllabus errorum (1864) di Papa Pio (15) e rimasto spesso ignorato, ha lanciato il guanto di sfida ai suoi avversari con gesto da gran signore: De donde sacais que los hombres son solidarios entre siy hermanos, iguales Uhres? (16) Pieno di disprezzo deflnisce la borghesia liberale una clasa discutidora. I numerosi ed energici attacchi di questo cavaliere senza paura e senza macchia non solo influenzarono grandemente Schmitt, ma contribuirono anche alla cristallizzazione delle sue posizioni. Otto Koellreutter non si sbagliò affatto allorché subodorò nel suo collega un difensore della filosofia cortesiana dello stato (17). Con Hobbes, Schmitt iniziò durante il suo periodo di Bonn un dialogo che è rimasto fino ad oggi ininterrotto: « l’importanza di Hobbes per la comprensione del pensiero schmittiano è da lungo tempo nota agli specialisti» (18).

(segue)



NOTE
DI PIET TOMMISSEN E INTEGRAZIONI DI ANTONIO CARACCIOLO

(*) Trad. it. a cura di Antonio CARACCIOLO. II saggio appare contemporaneamente in Criticón, n. 30, 1975.

(1) Molti contributi di questi quaderni sono stati successivamente raccolti in volume; cfr. Ernst MICHEL, Kirche und Wirklichkeit. Ein katholisches Zeitbuch, Jena, Diederichs, 1923. Inoltre la posizione critica di Alois DEMPF, Die Kirche und die christliche Persönlichkeit (in Hochland, 21. Jahrg., Heft 3, Dez. 1923, S. 305-309).

Fonte iconografica: ritratto di Ernst Horneffer e bibliografica. - «La storia della Chiesa cattolica tedesca è particolarmente complessa, soprattutto dal punto di vista del rapporto con lo stato»: così inizia una concisa voce di Wikipedia. Ernst Horneffer (1871-1954) fu tra i primi ad occuparsi delle opere di Nietzsche. Mise subito in guardia dai tentativi di falsificazione della sorella di Nietzsche che voleva a tutti i costi pubblicare un'opera che il fratello non ha mai scritto: la Volontà di potenza. Horneffer non era propriamente un cattolico praticante, bensì un massone.

INTEGRAZIONI

a) L’articolo di Piet Tommissen fu composto nel 1975. Nel febbraio 1923 si è avuta una parziale apertura degli Archivi Vaticani relativi al pontificato di Pio XI (1922-1939). Si trova disponibile in rete un "resoconto" di Thomas Brechenmacher sulle nuove prospettive degli studi sul cattolicesimo tedesco prima e dopo il 1933.
b) La scrittrice Helene Voigt fu moglie dell’editore Eugen Diederichs. Ho trovato in rete una breve scheda da cui ricavo: «Nata in Gut Marienhof, morta nel 1961 a Jena. Crebbe in campagna in una famiglia di artisti. Durante un viaggio in Italia conobbe l’uomo che più tardi, nel 1898, sposò: Eugen Diederichs. Nel 1904 si trasferì insieme con lui a Jena. La loro casa divenne il centro dell’elite spirituale e culturale della città. Dopo la separazione dal marito nel 1911 lasciò Jena e scrisse libri di viaggio, racconti e romanzi. Negli ultimi suoi anni Helene Voigt-Diederichs ritornò a Jena».


(2) Kurt SONTHEIMER, Der Tatkreis (in Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 7, Jahrg. Heft 3, Juli 1959, S. 229-260). Di altro avviso era Wilhelm RÖPKE, Explications de l'Ällemagne (Genf, A l'Enseigne du Cheval Ailé, 1945, 318 S., Nr. 7 nella colonna « Le livre vert»), S. 89-91.


(3) Ernst MICHEL, Extra ecciesiam nulla salus. - Ein Sehlusswort an die Katholiken (in Die Tat, 15. Jahrg. Heft I, April 1923, S. 1-7), S. l. La frase latina è stata del resto ripresa tanto dal 4° concilio lateranense (1215) quanto dal concilio di Firenze (1439). La tesi tipicamente giansenista « Extra ecclesiam nulla conceditur gratia» è stata invece formalmente respinta da papa CLEMENTE XI nella bolla Unigenitus (1713).

(4) X, Der Brenner. - Leben und Fortlegen einer Zeitschrift (München, Kösel, 1965, 46 S.).


(5) Theodor HAECKER, Nachtrag su «Versailles» (in Der Brenner, 7. Jahrg. Heft I, S. 17-25), p. 18, 23 e 24.

(6) Esiste uno studio sulla condotta di questo princlpe della chiesa nei confronti del movimento fiammingo; cfr. Robrecht BOUDENS, Kardinal Mercier en de Vlaamse beweging (Löwen, Davidsfonds, 1975, 304 S., Nr. 128 nella collana «Keurreeks»).

(7) J. G. LAPORTA, Strevingen bij de Duitsche Katholieken, sinds den oorlog (Brüssel, Standaard Boekhandel, 1932, 35 S., Nr. 299 nella collana «Katholieke Vlaamsche Hoogeschooluitbreiding»), S. 6-7.

(8) Ad esempio, nelle Fiandre, soprattutto per iniziativa di Victor LEEMANS, che tra l’altro ha anche pubblicato una delle prime monografie su Carl SCHMITT (1933). In questo contesto ha bisogno di una particolare menzione l’attivitò del benedettino Odo CASEL. II suo libro Das christliche Kultmysterium (Regensburg, Pustet, 1932, 176 S.), è un lavoro di notevole valore.


(9) Klaus BREUNING, Die Vision des Reiches. - Deutscher Katholizismus zwischen Demokratie und Diktatur (1929-1934) (München, Max Hueber, 1969, 404 S.), S. 25-38.

(10) Albrecht Erich GÜNTHER, Der Endkampf zwischen Autorität und Anarchie. - Sulla “Teologia politica di Carl Schmitt” (in Deutsches Volkstum, 13 Jahrg. Heft I, Januar 1931, S. 11-20), p. 15.

(11) Albrecht Erich GÜNTHER, art. cit. (cfr. supra nota 10), p. 14.

(12) SCHMITT ha parlato di alcune di queste amicizie e conoscenze. Forse si puö qui ricordare che egii ha addirittura letto nelle bozze L’uomo senza qualità del MUSIL (comunicazione orale del 10 maggio 1975).

(13) Cfr. la lettera di BENJAMIN, pubblicata nell’importante libro di Hans Dietrich SANDER (1928-), Marxistische Ideologie und allgemeine Kunsttheorie

(segue)

03 dicembre 2006

Piet Tommissen: Carl Schmitt metajuristisch betrachtet

Versione 1.2
Status: 3-4-09

Si tratta di un saggio che Piet Tommissen (n. 1925) pubblicò nel 1975 sul numero 30 di Criticón e che io tradussi contemporaneamente in italiano sulla rivista “Storia e politica”. Come forma di omaggio a Tommissen ripubblico ora nel mio blog “Carl Schmitt Studien” quel saggio del 1975, corredandolo di tutta l’iconografia che mi sarà possibile trovare ed aggiornando i dati con i links che riesco a trovare in varie lingue. In un’altro post è disponibile
la mia traduzione del 1975, se del caso ora rivista. Questo saggio di Tommissen si collega idealmente con l’altro di Hugo Ball, scritto proprio negli anni venti e che è da me qui riproposto in tedesco ed in traduzione italiana, sempre usando le possibilità di ricerca offerte da Internet. Si tratta di un periodo della storia tedesca ed europea che con questo saggio retrospettivo di Tommissen tento di ricostruire in una serie documentale e iconografica. Gli anni Venti in Germania furono quelli in cui maturò il pensiero di Carl Schmitt ed è da questo periodo che bisogna partire per ogni serio discorso su Carl Schmitt. Pertanto, non mi stancherò di scavare in questo periodo, da cui fatalmente ci separa il fluire degli anni e la lontananza dello spazio in cui si svolsero gli eventi. Sarà gradita ogni collaborazione nel senso sopra indicato.

CARL SCHMITT METAJURISTISCH BETRACHTET
Seine Sonderstellung im katholischen Renouveau des Deutschlands der Zwanziger Jahre

Von PIET TOMMISSEN

I.
Das Katholische Renouveau im Deutschland des Zwanziger Jahre

Kenner betrachten das Jahr 1918 noch immer als ein »annus mirabilis« in der Geschichte des deutschen Katholizismus. Der katholische Volksteil verließ fast von heute auf morgen die geistige Diaspora, in die er im Laufe des 19. Jahrhunderts verschlagen worden war. Junge Intellektuelle katholischer Observanz streiften ihren Minderwertigkeitskomplex ab; die ältere Generation erklärte sich bereit, mit Andersdenkenden zusammenzuarbeiten und Verantwortung zu übernehmen; katholische Forscher, Denker und Dichter wurden plötzlich von den Gegnern von gestern ernst genommen, d. h. gelesen und für diskussionswürdig befunden. Daß der Katholizismus nicht länger als rückschrittlich eingeschätzt wurde, geht beispielsweise aus dem Faktum hervor, daß DIE TAT, die gediegene Zeitschrift des bekannten Verlegers Eugen Diederichs (1867—1930) mit dem paradigmatischen Untertitel „Monatsschrift für die Zukunft deutscher Kultur” (damals noch nicht die spätere Ideenfabrik des rechten Kreises um Hans Zehrer (1889-1966) (1) im April 1921, im April 1922 und im April 1923 je ein katholisches Sonderheft herausgab (2). Im dritten dieser Hefte schrieb der Soziologe Ernst Michel (1889-1964) ein an die Katholiken Deutschlands adressiertes Schlußwort unter dem Titel „Extra ecclesiam nulla salus“ — also jenem erstmals vom hl. Cyprian (200—258) verwendete Diktum mit jansenistem Beigeschmack:
„…Denn wir haben nicht das Recht — gerade als Katholiken nicht — eine chinesische Mauer um uns zu ziehen” (3).
Dieser Satz entspricht in jeder Hinsicht dem Geist eines sich mit Wucht und Schneid durchsetzenden neuen Lebensgefühls, eines aufgeklärten sentimiento de la vida im Sinne des bedeutenden Spaniers Miguel de Unamuno (1864—1936).

Was war geschehen? Es ist außerordentlich schwierig, sich im Knäuel der vielen interdependenten Kräfte und Einflüsse, die in diesem Besinnungs- und zugleich Emanzipationsprozesses eine Rolle gespielt haben, zurechtzufinden. Freilich trugen auch äußere Faktoren zum Renouveau bei. Dem ersten Weltkrieg im allgemeinen und dem Kriegserlebnis im besonderen gelang es, Menschen und Überzeugungen bis zu einem gewissen Grade umzuformen; nicht ohne Grund wurde die Schrift „Der Krieg als inneres Erlebnis“ (1922) des hochdekorierten Frontoffiziers Ernst Jünger (1895-1998) von den Veteranen viel gelesen. Andererseits förderte auch das katastrophale Ende des Weltkrieges das Zustandekommen und die rasche Verbreitung einer neuen katholischen Mentalität. Meines Erachtens sollte man hier drei Elemente trennen: Die Tatsache, daß die politischen Kräfteverhältnisse einem Wandel unterzogen waren, die Tatsache, daß fortan mit der Weimarer Verfassung gerechnet werden mußte, und die Tatsache, daß ungezählte Deutsche die Abmachungen von Versailles als ein Diktat empfanden. Zum ersten Punkt genügt es, darauf hinzuweisen, daß zwischen dem Sturz des Kaiserreiches und der nationalsozialistischen Machtübernahme (1933) insgesamt 33 Regierungen am Ruder gewesen sind, und zwar immer wieder mit der Hilfe des Zentrums. Zum zweiten Punkt ist zu sagen, daß die Verfassung vom 11. August 1919, das Endergebnis der Anstrengungen des Juristen Hugo Preuss (1860-1925), im Art. 109 die Gleichheit aller Deutschen vor dem Gesetz bestätigte, sodaß die Katholiken künftighin gleichberechtigt waren. Und zum dritten Punkt ist der Standpunkt des Konvertiten Theodor Haecker (1879-1945 ) repräsentativ. Im BRENNER, der intelligenten Zeitschrift Ludwig von Fickers (1880-1967) (4), schrieb er über „die Gotteslästerung von Versailles”, nannte den Völkerbund eine „Spottgeburt aus Wilsongift und gallischem Dreck”, und war der Überzeugung, der in der aktiven Flüchtlingshilfe tätige Frithjof Nansen (1861-1930) sei im Auge Gottes wohlgefälliger als der belgische Kardinal Desire Joseph Mercier (1851-1926) (5),
«der so ausgezeichnet, wie durch ein Teleskop, die Splitter in seines Nächsten Auge als Balken sieht, und den Balken, wie durch das umgekehrte Ende, im eigenen „lateinischen” nicht, ja nicht einmal entdeckt» (6).
Dennoch wäre dies alles ohne Wirkung geblieben, hätten sich nicht weitere Faktoren geltend gemacht. Erstens zeitigte die vom Rheinhessen Karl Muth (1867-1944) und den HOCHLAND-Mitarbeitern seit 1903 geleistete Vorarbeit für eine kulturelle Öffnung des Katholizismus zweifelsohne Früchte. Zweitens gab es Max Scheler (1874-1928), von dem die Kollegen Peter Wüst (1884-1940) und Dietrich von Hildebrand (1889-1977) bezeugt haben, daß er in den Jahren der Entscheidung 1916—21 viele junge Intellektuelle gefesselt und beeinflußt hat. Drittens blieben die Art. 135 und 137 der Weimarer Verfassung nicht ohne Folgen. Art. 137 besagte expressis verbis, daß im Deutschen Reich keine Staatskirche bestand, sodaß der „summus episcopus“-Vergangenheit des deutschen Protestantismus ein jähes Ende bereitet wurde. Andererseits garantierte Art. 135 allen Bewohnern des Reiches volle Glaubens- und Gewissensfreiheit und hatte automatisch die Rückkehr exilierter und emigrierter Orden zur Folge Zwischen 1913 und 1926 nahm die Anzahl der Männerklöster von 373 auf 559 und die Anzahl der männlicher Ordensangehörigen von 6430 auf 10458 zu (7). Kein Wunder, daß nach 1918 manches verborgene Talent aktivierl wurde, obzwar es verfehlt wäre, hieraus das Entstehen einer katholischen Elite herleiten zu wollen, wie es gelegentlich versucht worden ist. Höchstens könnte man von einer quantitativ ziemlich bedeutenden, qualitativ glänzenden Piejade vielverheißender junger Kräfte sprechen.

In der neuen Lage verfügten die Katholiken über solide Zeitschriften, die sich bald der Mitarbeit Andersdenkender erfreuten. Die liturgische Bewegung, die unter dem Impuls des Abtes der Benediktinerabtei Maria Laach Ildefons Herwegen (1874-1946) ab Ostern 1918 mit der Schriftenreihe ECCLESIAM ORANS startete, fand bald außerhalb der Reichsgrenzen starke Beachtung (8). Auch die Jugendbewegung darf hier nicht unerwähnt bleiben. Der aus einem Äbstinentenbund hervorgegangene QUICKBORN tagte 1919 erstmals auf der Burg Rothenfels; Romano Guardini (1885-1968) war der geistliche Mentor und DIE SCHILDGENOSSEN galten als die ideologische Tribüne. Bedeutende Theologen — Erich Przywara s. J. (1889-1972), Karl Adam (1876-1966) und Carl Eschweiler (1886-1936) — machten viel von sich reden; die Veröffentlichungen von Carl Sonnenschein (1876-1929) und Peter Lippert (1879-1936) fanden willige Abnehmer, während die Bücher eines Friedrich Muckermann (1883-1946) vorzugsweise in intellektuellen Kreisen gelesen wurden. Einer besonderen Erwähnung bedarf die sich in katholischen Kreisen verbreitende Reichsideologie, wobei — Klaus Breuning (* 1927) hat es richtig akzentuiert (9) — eine gewisse österreichische Nostalgie als Sauerteig gewirkt haben mag. Hohe Würdenträger salbten Ressentiments und trugen auf diese Weise zur Reintegrierung des katholischen Teils im Volkskörper bei; der Münchner Kardinal Michael von Faulhaber (1869-1952) brandmarkte auf dem Katholikentag 1922, ungeachtet des Zentrums-Protestes, die Revolution von 1918 als meineidig und hochverräterisch, und mit dem Kainszeichen behaftet…

II.
Die Sonderstellung Carl Schmitts

Daß er einerseits als Apologet der römischen Kirche auftrat und andererseits scharfsinnig über politische Theologie schrieb, gab Carl Schmitt (1888-1985) in der Geschichte des katholischen Renouveau Deutschlands eine Sonderstellung. Bevor wir uns jedoch dieser Doppelleistung zuwenden, empfiehlt es sich, einige Aspekte der Persönlichkeit des Gelehrten genauer zu betrachten. Vorerst müssen wir uns vergegenwärtigen, daß die deutschen Katholiken, die sich vor der Jahrhundertwende in der Defensive befunden hatten und jene, die sich nach dem verlorenen Krieg zur Offensive anschickten, ein grundverschiedenes Verhältnis zum Phänomen der Säkularisation besaßen. Die Vorkriegskatholiken legten andauernde Verwahrung gegen den arroganten Optimismus derjenigen ein, die, wie es Albrecht Erich Günther (1893—1942), ein Sohn der Autorin Agnes Günther (1863—1921), sehr hübsch, gesagt hat, für “die produktive Säkularisation” gewonnen waren (10), z. B. die Monisten vom Schlage eines Ernst Haeckel (1834—1919). Nach Kriegsende sah es schnell anders aus. Jetzt mußten die „Vorkämpfer der Säkularisation”, einzelne Popularisatoren ausgenommen, den „Beobachtern der Säkularisation” Platz machen (11); letztere Gruppe spürte, daß die Evolution schon dermaßen weit fortgeschritten war, daß sie nur noch als historisches Faktum hingenommen werden konnte. Zu dieser neuen Einschätzung der Lage bekannten sich Biologen wie Jakob von Uexküll (1864—1944) mit seiner Umweltlehre, Philologen wie Hans Bogner (1895—1948), philosophisch interessierte Autoren wie Erwin Guido Kolbenheyer (1878—1962) und auch Juristen wie Carl Schmitt. Im Falle Schmitts trifft also ein Satz zu, den Georg Friedrich Hegel (1770—1831) in der Vorrede zu seinen Grundlinien der Philosophie des Rechts (1821) geprägt hat: “Was das Individuum betrifft, so ist ohnehin jedes ein Sohn seiner Zeit”.

Sehr auffällig ist beim Gelehrten die Existenz eines ästhetischen Pols. Er war bzw. ist befreundet mit Malern wie Werner Gilles (1894-1961), Werner Heldt (1904-1954), Ernst Wilhelm Nay (1902-1968); mit Poeten wie Theodor Däubler (1876-1934), Konrad Weiss (1880-1940), Hugo Ball (1886-1927); mit Essayisten wie Franz Blei (1871-1942); mit Autoren wie Ivo Andric (1892-1975), Robert Musil (1880-1942), Ernst Jünger (12). In Zusammenarbeit mit seinem Freunde Fritz Eisler (? —1914) hat er als junger Mensch einen Band avantgardistischer Parodien (“Schattenrisse”, 1913) veröffentlicht. Mit Recht gilt er als Kenner des Werkes des Amerikaners Herman Melville (1819—1891) und des Oeuvres der großen, mittelgroßen und kleinen Herolde der Romantik. Seine Deutung der Hamletfigur harrt noch der Aufnahme durch fachkundigen Anglisten. Eingestandenermaßen waren seine Begriffe für Walter Benjamin (1892—1940) wichtig bei der Abfassung des großartigen Buches über den Ursprung des deutschen Trauerspiels (1928) (13). Angesichts dieser und weiterer Belege nimmt es nicht wunder, daß der Jurist Peter Schneider (*1920) feststellen konnte, daß es Schmitt immer wieder gelingt „dem dürren Boden der Jurisprudenz ästhetischen Reiz abzugewinnen, obgleich er die Gebote der Fachlichkeit nicht übertritt” (14).

Nicht weniger bedeutsam ist das ununterbrochene Interesse Schmitts für Donoso Cortes (1809—1853) und für Thomas Hobbes (1588—1679). Von Sachverständigen ist zugegeben worden, daß Cortes in Deutschland nur dank der Bemühungen unseres Gelehrten bekannt wurde. Es handelt sich konkret um ein in dem von Melchior Palyi (1892—1970) besorgten „liber amicorum” Max Webers (1864—1920) publizierte Studie (1922), sowie um zwei weitere Beiträge für Muth (15). Bekanntlich hat Cortes, dessen Beitrag zur Entstehung des umstrittenen „Syllabus errorum” (1864) des Papstes Pius IX. (Giovanni Maria Conte Mastai-Ferretti, 1792—1878) oft unberücksichtigt bleibt, seinen ideologischen Gegnern mit grandseigneuraler Gebärde den Handschuh hingeworfen:
De donde sacais que los hombres son solidarios entre si, hermanos, iguales y libres?” (16).
Die liberale Bourgeoisie nannte er mißachtend „una clase discutidora”. Jedenfalls vermochten die vielen schneidigen Attacken dieses Ritters ohne Furcht und Tadel Schmitt nicht nur zu fesseln, sondern sie trugen in nicht unerheblichem Maße zur Kristallisation seiner eigenen Positionen bei. Otto Koellreutter

(segue)

VII.
Bemerkungen

(1) Kurt SONTHEIMER (1928-2005): Der Tatkreis (in: Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 7. Jahrg. Heft 3, Juli 1959, S. 229-260). Anderer Meinung war allerdings Wilhelm RÖPKE (1899-1966): Explication de l'Allemagne (Genf: A l'Enseigne du Cheval Aile, 1945, 318 S., Nr. 7 in der Reihe „Le livre vert"), Seiten 89-91.

(2) Mehrere Beiträge dieser Hefte sind hinterher zu einem Buch zusammengefaßt worden; vgl. Ernst MICHEL (Hrg.): Kirche und Wirklichkeit. Ein katholisches Zeitbuch (Jena: Diederichs, 1923, VII + 298 S.). Dazu die kritische Stellungnahme von Alois DEMPF (1891-1982): Die Kirche und die christliche Persönlichkeit (in: Hochland, 21. Jahrg., Heft 3, Dez. 1923, S. 305-309).

Schmitt un teorico delle leggi razziali? L'ultima dalla Francia

Yves Charles Zarka, da me conosciuto come specialista francese su Thomas Hobbes, mi è da non molto noto per le sue posizioni su Carl Schmitt e ora sento di Zarka anche come «aussi l'auteur de textes discutés sur Carl Schmitt, le théoricien des lois raciales nazies». Il riferimento al tipo di recezione schmittiana in Francia non è il tema principale dell’articolo di “letemps.ch”, ma è invece posto e discusso il quesito se in Francia vi sia una vita intellettuale. Se questo è il dubbio, non potrei essere io a dare una risposta. Come italiano trovo curioso un passo dove ci si lamenta per la perdita d’influenza della lingua francese a tutto vantaggio di quella inglese: «Un nombre de plus en plus grand de scientifiques français, pas seulement des physiciens mais aussi des philosophes, publient en anglais. Par exemple les sciences cognitives, la philosophie analytique. Tout ce qui s'y passe en France est en anglais. Les colloques, les discussions sont en anglais. A une certaine époque, l'autorité scientifique française incitait les chercheurs à publier directement en anglais. On disait: si vous ne publiez pas en anglais vous ne serez pas lu. Ce qui est vrai, mais il faudrait procéder autrement, écrire en français et débloquer les moyens de traduire».

Stando così le cose, Zarka mi dovrebbe qualche gratitudine per aver io fatto tradurre e pubblicare in una rivista da me diretta qualche suo testo. Non in inglese, ma dal francese in italiano. E se i francesi hanno di che lamentarsi per la posizione della lingua francese nel mondo, cosa dovremmo dire noi italiani? Chi scrive in lingua italiana non può pensare di arricchirsi o soltanto poter campare con i soli proventi dei diritti, fatto forse eccezione di conduttori televisivi che riciclano su carta stampata le loro amenità televisive. Lo scrivere per un italiano è normalmente un fatto secondario e marginale. Un professore universitario può campare in quanto pagato dall'università. I suoi scritti, necessarie per vincere i concorsi, sono stampati a sue spese e se vengono letti, li leggono solo i commissari che devono giudicarlo. Ma nella totalità dei casi non sono libri destinati alla società ed hanno spesso una ridotta tiratura di quattrocento copie, per ragione di costi. Ma io non sono così disperato come Zarka, perché non penso che l'abbondanza in sé di scrittura sia un fatto positivo. Mi viene da pensare ad una profezia di Nietzsche, per la quale – se ben ricordo un passo di oltre 20 anni fa – sarebbe venuta un'epoca in cui il leggere e lo scrivere molto sarebbe stato considerato un segno di cattivo gusto. Forse ci siamo. Ed in questo caso il poter scrivere in lingue di limitata diffusione commerciale può essere una positiva forma di autolimitazione di fronte all'inflazione della carta stampata.

Come studioso di Schmitt mi tocca arrabbattarmi oltre che con la lingua italiana, di cui ho discreta conoscenza, anche con tedesco, conoscenza necessaria per poter traddurre Schmitt in italiano, ma anche francese e spagnolo, per fortuna non molto dissimili dall’italiano, ed infine con la lingua inglese, dove direi si trova la più superficiale conoscenza di Carl Schmitt. La solfa dello Schmitt pensatore nazista è ricorrente in lingua inglese e mi dispaice trovarla anche il lingua francese, come se l’argomento Schmitt fosse liquidato da una sua marginale ed episodico adesione al regime, soprattutto nella sua fase iniziale. Si tratta di un falso problema posto da chi intende scongiurare la permanente attualità del pensiero di Carl Schmitt. Del resto, lo stesso fenomeno del nazismo dovrebbe infine uscire dalla trattazione ideologico-demoniaca per entrare nella fase dell’analisi storico-critica. Ciò facendo il problema Schmitt »le théoricien des lois raciales nazies« rivela tutta la sua inconsistenza. Che poi Schmitt sia stato addirittura »le théoricien des lois raciales nazies«, desiderei sapere quando e come ed in che senso lo si dica, se a sostenere ciò sia Zarka e non sia invece un abbaglio dell’articolista. Mi pare proprio, pur con tutta la buona volontà che ci metteno i detrattatori di Schmitt, che in senso proprio non si possa attribuire a Schmitt la responsabilità e paternità delle leggi razziali tedesche. Il suo nome non ricorre mai né nella forma delle leggi emanate né altrove.Vi fu un fase antisemita in Schmitt, e non solo in Schmitt, ma in tantissimi altri. Basti pensare ad una recente edizione del nostro Tomasi di Lampedusa, di cui cui si volevano censurare alcune lettere dal contenuto giudicato antisemita. Giustamente e lodevolmente si è opposto ad una simile censura il senatore Marcello Dell’Utri. Inoltre, ed è curioso dirlo, l’antisemitismo di Schmitt è di fonte francese, legato all’influenza di scrittori come Bernanos.

Non so se queste notizie che circolano in Francia su Schmitt siano dovute al convegno che Zarka organizzò a Strasburgo nello scorso febraio. Invano ho cercato di sapere cosa sia detto in quel luogo al confine fra Francia e Germania, città contesa fra Germania e Francia, e dove Carl Schmitt si laureò nel 1910 con Fritz van Calker. Ho chiesto, ma non ho avuto neppure la cortesia di una risposta. Eppure una volta il francese era la lingua del parlar cortese. Si va verso una decadenza della cultura francese, ma in un senso diverso da quello dato dall’articolista de Les temps. Io mi pongo nell’atteggiamento umile di chi non ritiene di sapere tutto ed è sempre disposto ad apprendere e sarei molto lieto di una risposta illuminante di Charles Zarka.