Yves Charles Zarka, da me conosciuto come specialista francese su Thomas Hobbes, mi è da non molto noto per le sue posizioni su Carl Schmitt e ora sento di Zarka anche come «aussi l'auteur de textes discutés sur Carl Schmitt, le théoricien des lois raciales nazies». Il riferimento al tipo di recezione schmittiana in Francia non è il tema principale dell’articolo di “letemps.ch”, ma è invece posto e discusso il quesito se in Francia vi sia una vita intellettuale. Se questo è il dubbio, non potrei essere io a dare una risposta. Come italiano trovo curioso un passo dove ci si lamenta per la perdita d’influenza della lingua francese a tutto vantaggio di quella inglese: «Un nombre de plus en plus grand de scientifiques français, pas seulement des physiciens mais aussi des philosophes, publient en anglais. Par exemple les sciences cognitives, la philosophie analytique. Tout ce qui s'y passe en France est en anglais. Les colloques, les discussions sont en anglais. A une certaine époque, l'autorité scientifique française incitait les chercheurs à publier directement en anglais. On disait: si vous ne publiez pas en anglais vous ne serez pas lu. Ce qui est vrai, mais il faudrait procéder autrement, écrire en français et débloquer les moyens de traduire».
Stando così le cose, Zarka mi dovrebbe qualche gratitudine per aver io fatto tradurre e pubblicare in una rivista da me diretta qualche suo testo. Non in inglese, ma dal francese in italiano. E se i francesi hanno di che lamentarsi per la posizione della lingua francese nel mondo, cosa dovremmo dire noi italiani? Chi scrive in lingua italiana non può pensare di arricchirsi o soltanto poter campare con i soli proventi dei diritti, fatto forse eccezione di conduttori televisivi che riciclano su carta stampata le loro amenità televisive. Lo scrivere per un italiano è normalmente un fatto secondario e marginale. Un professore universitario può campare in quanto pagato dall'università. I suoi scritti, necessarie per vincere i concorsi, sono stampati a sue spese e se vengono letti, li leggono solo i commissari che devono giudicarlo. Ma nella totalità dei casi non sono libri destinati alla società ed hanno spesso una ridotta tiratura di quattrocento copie, per ragione di costi. Ma io non sono così disperato come Zarka, perché non penso che l'abbondanza in sé di scrittura sia un fatto positivo. Mi viene da pensare ad una profezia di Nietzsche, per la quale – se ben ricordo un passo di oltre 20 anni fa – sarebbe venuta un'epoca in cui il leggere e lo scrivere molto sarebbe stato considerato un segno di cattivo gusto. Forse ci siamo. Ed in questo caso il poter scrivere in lingue di limitata diffusione commerciale può essere una positiva forma di autolimitazione di fronte all'inflazione della carta stampata.
Come studioso di Schmitt mi tocca arrabbattarmi oltre che con la lingua italiana, di cui ho discreta conoscenza, anche con tedesco, conoscenza necessaria per poter traddurre Schmitt in italiano, ma anche francese e spagnolo, per fortuna non molto dissimili dall’italiano, ed infine con la lingua inglese, dove direi si trova la più superficiale conoscenza di Carl Schmitt. La solfa dello Schmitt pensatore nazista è ricorrente in lingua inglese e mi dispaice trovarla anche il lingua francese, come se l’argomento Schmitt fosse liquidato da una sua marginale ed episodico adesione al regime, soprattutto nella sua fase iniziale. Si tratta di un falso problema posto da chi intende scongiurare la permanente attualità del pensiero di Carl Schmitt. Del resto, lo stesso fenomeno del nazismo dovrebbe infine uscire dalla trattazione ideologico-demoniaca per entrare nella fase dell’analisi storico-critica. Ciò facendo il problema Schmitt »le théoricien des lois raciales nazies« rivela tutta la sua inconsistenza. Che poi Schmitt sia stato addirittura »le théoricien des lois raciales nazies«, desiderei sapere quando e come ed in che senso lo si dica, se a sostenere ciò sia Zarka e non sia invece un abbaglio dell’articolista. Mi pare proprio, pur con tutta la buona volontà che ci metteno i detrattatori di Schmitt, che in senso proprio non si possa attribuire a Schmitt la responsabilità e paternità delle leggi razziali tedesche. Il suo nome non ricorre mai né nella forma delle leggi emanate né altrove.Vi fu un fase antisemita in Schmitt, e non solo in Schmitt, ma in tantissimi altri. Basti pensare ad una recente edizione del nostro Tomasi di Lampedusa, di cui cui si volevano censurare alcune lettere dal contenuto giudicato antisemita. Giustamente e lodevolmente si è opposto ad una simile censura il senatore Marcello Dell’Utri. Inoltre, ed è curioso dirlo, l’antisemitismo di Schmitt è di fonte francese, legato all’influenza di scrittori come Bernanos.
Non so se queste notizie che circolano in Francia su Schmitt siano dovute al convegno che Zarka organizzò a Strasburgo nello scorso febraio. Invano ho cercato di sapere cosa sia detto in quel luogo al confine fra Francia e Germania, città contesa fra Germania e Francia, e dove Carl Schmitt si laureò nel 1910 con Fritz van Calker. Ho chiesto, ma non ho avuto neppure la cortesia di una risposta. Eppure una volta il francese era la lingua del parlar cortese. Si va verso una decadenza della cultura francese, ma in un senso diverso da quello dato dall’articolista de Les temps. Io mi pongo nell’atteggiamento umile di chi non ritiene di sapere tutto ed è sempre disposto ad apprendere e sarei molto lieto di una risposta illuminante di Charles Zarka.
Stando così le cose, Zarka mi dovrebbe qualche gratitudine per aver io fatto tradurre e pubblicare in una rivista da me diretta qualche suo testo. Non in inglese, ma dal francese in italiano. E se i francesi hanno di che lamentarsi per la posizione della lingua francese nel mondo, cosa dovremmo dire noi italiani? Chi scrive in lingua italiana non può pensare di arricchirsi o soltanto poter campare con i soli proventi dei diritti, fatto forse eccezione di conduttori televisivi che riciclano su carta stampata le loro amenità televisive. Lo scrivere per un italiano è normalmente un fatto secondario e marginale. Un professore universitario può campare in quanto pagato dall'università. I suoi scritti, necessarie per vincere i concorsi, sono stampati a sue spese e se vengono letti, li leggono solo i commissari che devono giudicarlo. Ma nella totalità dei casi non sono libri destinati alla società ed hanno spesso una ridotta tiratura di quattrocento copie, per ragione di costi. Ma io non sono così disperato come Zarka, perché non penso che l'abbondanza in sé di scrittura sia un fatto positivo. Mi viene da pensare ad una profezia di Nietzsche, per la quale – se ben ricordo un passo di oltre 20 anni fa – sarebbe venuta un'epoca in cui il leggere e lo scrivere molto sarebbe stato considerato un segno di cattivo gusto. Forse ci siamo. Ed in questo caso il poter scrivere in lingue di limitata diffusione commerciale può essere una positiva forma di autolimitazione di fronte all'inflazione della carta stampata.
Come studioso di Schmitt mi tocca arrabbattarmi oltre che con la lingua italiana, di cui ho discreta conoscenza, anche con tedesco, conoscenza necessaria per poter traddurre Schmitt in italiano, ma anche francese e spagnolo, per fortuna non molto dissimili dall’italiano, ed infine con la lingua inglese, dove direi si trova la più superficiale conoscenza di Carl Schmitt. La solfa dello Schmitt pensatore nazista è ricorrente in lingua inglese e mi dispaice trovarla anche il lingua francese, come se l’argomento Schmitt fosse liquidato da una sua marginale ed episodico adesione al regime, soprattutto nella sua fase iniziale. Si tratta di un falso problema posto da chi intende scongiurare la permanente attualità del pensiero di Carl Schmitt. Del resto, lo stesso fenomeno del nazismo dovrebbe infine uscire dalla trattazione ideologico-demoniaca per entrare nella fase dell’analisi storico-critica. Ciò facendo il problema Schmitt »le théoricien des lois raciales nazies« rivela tutta la sua inconsistenza. Che poi Schmitt sia stato addirittura »le théoricien des lois raciales nazies«, desiderei sapere quando e come ed in che senso lo si dica, se a sostenere ciò sia Zarka e non sia invece un abbaglio dell’articolista. Mi pare proprio, pur con tutta la buona volontà che ci metteno i detrattatori di Schmitt, che in senso proprio non si possa attribuire a Schmitt la responsabilità e paternità delle leggi razziali tedesche. Il suo nome non ricorre mai né nella forma delle leggi emanate né altrove.Vi fu un fase antisemita in Schmitt, e non solo in Schmitt, ma in tantissimi altri. Basti pensare ad una recente edizione del nostro Tomasi di Lampedusa, di cui cui si volevano censurare alcune lettere dal contenuto giudicato antisemita. Giustamente e lodevolmente si è opposto ad una simile censura il senatore Marcello Dell’Utri. Inoltre, ed è curioso dirlo, l’antisemitismo di Schmitt è di fonte francese, legato all’influenza di scrittori come Bernanos.
Non so se queste notizie che circolano in Francia su Schmitt siano dovute al convegno che Zarka organizzò a Strasburgo nello scorso febraio. Invano ho cercato di sapere cosa sia detto in quel luogo al confine fra Francia e Germania, città contesa fra Germania e Francia, e dove Carl Schmitt si laureò nel 1910 con Fritz van Calker. Ho chiesto, ma non ho avuto neppure la cortesia di una risposta. Eppure una volta il francese era la lingua del parlar cortese. Si va verso una decadenza della cultura francese, ma in un senso diverso da quello dato dall’articolista de Les temps. Io mi pongo nell’atteggiamento umile di chi non ritiene di sapere tutto ed è sempre disposto ad apprendere e sarei molto lieto di una risposta illuminante di Charles Zarka.
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