16 aprile 2009

Una perdita per la cultura italiana: la morte di Franco Volpi


La notizia mi è giunta ieri, per posta elettronica, da Carlo Lo Re. Non ci volevo credere, speravo si trattasse di un’omonimia e non del Franco Volpi che conoscevo, ma poi andando al leggere l’intero testo del blog di Lo Re e vedendo anche la foto ho dovuto convincermi che si trattava proprio di Franco. Non posso dire di avere avuto con lui una grande frequentazione e questo non è e non vuole essere un necrologio. Avevo conosciuto Franco Volpi in Germania ad una serie di Seminari organizzati dall’Istituto filosofico marottiano. Leggo che era nato nel 1952, due anni più giovane di me, dunque, ma era nel frattempo passato a ordinario di storia della filosofia. Non ho mai avuto nessunissima invidia per la carriera che lui e altri amici nel frattempo hanno fatto, mentre io sono rimasto al palo: ben meritata! Soprattutto, non per questo cambiavano i nostri personali rapporti. Fuori dai seminari tedeschi non ricordo di averlo mai incontrato, lui abitava a Padova ed io a Roma. Non capitava perciò di incontrarsi per strada, per fare una passeggiata insieme, come mi accadeva spesso con Antimo Negri, con il quale lungo il viale Regina Margherita facevamo esercizio di maldicenza su tutta la cultura italiana. Non si risparmiava nessuno e dopo ci sentivamo meglio. Scherzi a parte, ho un caro, carissimo ricordo di Franco Volpi, la cui voce al telefono conservava sempre la stessa freschezza e disponibilità della prima volta che ci conoscemmo. Lui lavorava con Adelphi io con Giuffrè. Si era anche prestato per dare copertura giornalistica al convegno che io avevo organizzato in Roma su Carl Schmitt. Ci sentivamo, in genere, per risolvere pasticci editoriali e da lui apprendevo di cose che non divulgavo e che potevano ben andare in una rubrica una volta esistente su L’Espresso: I segreti degli editori. Non so se esiste ancora questa rubrica, perché non leggo più da parecchi anni L’Espresso. Ma alcuni di questi segreti andrebbero raccontati anche per iscritto e non solo a voce, come faccio con gli amici fidati. Negli ultimi tempi lo avevo cercato con insistenza al numero di telefono che avevo, lo stesso che altri pure avevano. Non rispondeva nessuno ed avevo supposto o che avesse cambiato casa o che il numero non fosse più quello.

Il pasticcio ultimo era la contemporanea uscita, quasi nello stesso giorno, della “Tirannia dei valori” in edizione Adelphi e in edizione Morcelliana con lieve e concorrenziale differenza di prezzo di copertina. Dopo la morte del prof. Kaiser la gestione dei diritti di Schmitt ed il piano di edizioni versa nel più completo caos ed io non so a quale interlocutore potermi rivolgere. Risponde una signora alla quale le mie ultime parole sono state: Ich bin mude. Contavo di risolvere il problema non solo della “Tirannia dei valori”, ma altri in corso se avessi potuto parlare con Franco, come già altre volte. Rimandavo ogni volta all’occasione in cui lo avessi incontrato o qualcuno avesse potuto darmi un nuovo e diverso recapito. Giunge però a tradimento la morte prematura. Non la malattia ci ha tolto Franco Volpi, ma – spero di non sembrare irriverente – “mentre passeggiava in bici”, secondo quanto leggo da Carlo Lo Re. Non ci si riesce mai ad abituare all’idea della morte di una persona cara, dei genitori, di un parente, di un amico. Non essendo noi eterni in una serie di casi ci si deve tuttavia rassegnare, ma in altri non si accetta il fatto ineluttabile della perdita. È il caso di Franco Volpi, di cui non ricordo se una volta vidi appena la moglie. Non conosco nessuno dei suoi familiari a cui far giungere le mie condoglianze. Ripeto: questo non è un necrologio. Esprimo, in questo inizio di giornata, il mio rimpianto per l’amico perso. Più tardi andrò a fare lezione, iniziando dopo Pasqua la parte del corso dedicata quest’anno alla Tirannia dei valori. Inizierò parlando agli studenti di Franco Volpi, ricordandone la figura per come io l’ho conosciuta e soprattutto ricordando la gentilezza dell’uomo, la grande cultura, la disponibilità costante e spontanea, l’amabilità, la signorilità.

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